Una scena del film "Sweet Sweetback's Baadasssss Song" di Melvin Van Peebles 

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Melvin il nero, inventore della blaxploitation

Mariarosa Mancuso

È morto pochi giorni fa, a 89 anni, Melvin Van Peebles. Nessuna major avrebbe prodotto negli anni 70 (meno che mai adesso) un film come “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”, dedicato “a tutti i fratelli e le sorelle che ne hanno abbastanza dell’uomo bianco”

“Sono la Rosa Parks del cinema nero”, diceva di sé Melvin Van Peebles. Di solito, dopo aver negato la sua influenza sul cinema di Spike Lee, Barry Jenkins, John Singleton. E di Quentin Tarantino, che nero non è, ma ha reso omaggio alla blaxploitation (film di neri per i neri, perlopiù anni 70) in “Jackie Brown”. Poi girò “Django Unchained”, mettendo in mano allo schiavista Leonardo DiCaprio il martelletto della frenologia (è la scienza a dire che dovete raccogliere cotone). È morto pochi giorni fa, a 89 anni. Oggi se pensiamo al cinema nero dobbiamo mettere nel numero Ava DuVernay, regista di film a tendenza didattica come “Selma” (la marcia per i diritti civili da Selma a Montgomery nel 1965, in testa un Martin Luther King ridotto a santino). Fu lei a lanciare l’hashtag #oscarsowhite, che ora necessita un #emmysowhite: oltre al cerimoniere Cedric the Entertainer, domenica scorsa erano quasi tutti bianchi, e britannici.    

Melvin Van Peebles aveva cominciato a fare cinema dopo un confuso apprendistato che lo aveva condotto dal Messico a Parigi, dall’aeronautica Usa al fumetto. A Hollywood gli fecero girare una commedia intitolata “L’uomo caffelatte” (titolo originale “Watermelon Man”, 1970). Il contrario dei “minstrel show”, da cui viene l’orrendissima – agli occhi di oggi, agli occhi di ieri erano film come “Il cantante di jazz” con Al Johnson – pratica della “blackface”: attori e cantanti bianchi che si dipingono la faccia di nero. “L’uomo caffelatte” è l’afroamericano Godfrey Cambridge: si dipinge la faccia di bianco per recitare la parte di un assicuratore razzista che una mattina si sveglia con la pelle nera. La moglie lo vede e urla, scambiandolo per un estraneo. Stessa trama della criticatissima commedia francese  “Agathe Cléry”, diretta nel 2008 da Etienne Chatiliez. Valérie Lemercier produce cosmetici per pelli candide, mentre la sua diventa scura e poi scurissima.    

Il “caffelatte” fallisce miseramente. Nel 1971 Melvin Van Peebles si lancia nel cinema indipendente, scrive e recita, trova i soldi, fa il montaggio e la colonna sonora.  Del resto, nessuna major avrebbe prodotto allora (meno che mai adesso, puritani e scandalizzabili come signorine d’altri tempi) un film intitolato “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”. Dedicato “a tutti i fratelli e le sorelle che ne hanno abbastanza dell’uomo bianco”. La minaccia non produce lezioncine ma un film oltraggioso e divertente, protagonista un orfano cresciuto in un bordello. Da grande fa il gigolò, in duello con una donna (a capo di una banda di motociclisti) sceglie il sesso come arma. Vince lui, sfiancando la fanciulla. Non basta per sfuggire ai poliziotti che lo inseguono, accusandolo di omicidio: oltre al sesso la violenza, era nata la blaxploitation.