Da "Les Olympiades", il film di Jacques Audiard in concorso a Cannes 2021

Cannes 2021

“Les Olympiades” e “Red Rocket”: belli e matti

Mariarosa Mancuso

Due film contemporanei in concorso a Cannes che scaldano cuori infreddoliti dal riciclo d’aria anti Covi

Si spengono le luci, dopo una mezzoretta trascorsa a temperatura da ghiacciaia (per via delle mascherine, e del riciclo d’aria: vaccinati e tamponati rischiamo il caro vecchio raffreddore). Si spengono le luci, la temperatura resta gelida, e cominciano certi film che potrebbero essere girati in chissà quale epoca remota. Colletti rigidi, pizzetto, scarpine con laccetti. Sigarette, soprattutto sigarette. Non abbiamo mai visto fumare tanto come a Cannes 2021 (in “The French Dispatch” di Wes Anderson i giornalisti ci danno dentro con le Gitanes in pacchetto rosso – il blu non s’intonava alla scena).

 

Film come “La storia di mia moglie”, che la celebrata (ma per noi intollerabile) regista ungherese Ildikó Enyedi ha tratto dal romanzo di Milán Füst (1942, edizione Adelphi 2002). Europudding di attori da coproduzione: prima donna Léa Seydoux, per l’Italia Sergio Rubini e Jasmine Trinca. Il comandante di una nave decide di sposare la prima che capita, si tormentano per quasi tre ore senza suscitare la minima curiosità (dopo la prima scena, pentitissimi – ma il film è in concorso – cerchiamo di rifarci gli occhi con il musical afrofuturista “Neptune Frost” – niente da fare, biglietti esauriti)

 

Quando invece le luci si spengono, pur nel solito gelo, e comincia la proiezione di “Les Olympiades” di Jacques Audiard almeno il cuore si scalda. Grattacieli, costruiti negli anni 70 da architetti seguaci di una teoria chiamata “urbanigramma” (qualsiasi cosa voglia dire). Siamo a Parigi, ma niente Tour Eiffel. All’origine, la graphic novel “Les intrus” di Adrian Tomine (pubblicato in italia da Coconino Press). Girato durante il confinamento, in bianco e nero per velocità e praticità. Le riprese in esterni sono successive.

 

Un film contemporaneo, finalmente. Un girotondo alla maniera di Arthur Schnitzler: gente che va a letto con altra gente, senza farsi troppi problemi (non è un’invenzione recente, la commedia di Schnitzler andò per la prima volta in scena a Vienna nel 1897). Condividono un appartamento, e la cinesina che lavora in un call center si è innamorata del professore nero appena entrato a visitare l’appartamento. Per lo stesso motivo lui la lascerà, non vuole impegni sentimentali. Poi smetterà anche di insegnare francese, per mettere su un’agenzia immobiliare. Dove andrà a cercare lavoro una ragazza che ha lasciato gli studi di legge perché la sfottevano pesantemente: era somingliantissima a una pornostar. E sarà proprio la pornostar a diventare sua amica, via chat, prima di una galeotta passeggiata al parco.

 

Un altro film contemporaneo – che nel cinema non vuol dire bizzarrerie narrative senza capo né coda – è il bellissimo “Red Rocket” di Sean Baker, regista che si fece molto applaudire nel 2015 con “Tangerine”. Costo bassissimo, qualche iPhone 5 e i travestiti che giravano attorno a un chiosco di Donuts. Poi è arrivato “Florida Project” (“Un sogno chamato Florida” imperdibile su Amazon – solo lingua originale, please). Secondo i critici superciliosi, il film è in concorso rubando il posto a chissà quale concentrato di sbadigli.

 

Un attore porno in declino torna a casa da sua moglie, anche lei ex pornostar, laggiù nel Texas. C’è anche una suocera, identica a Mamma Yokum nel fumetto “Li’l Abner” di Al Capp (usciva su Linus, non era poi tanto esotico, suvvia). Non viene accolto come un figliol prodigo, anzi proprio lo cacciano. Finché allunga un po’ soldi per l’affitto del tugurio, guadagnati spacciando droga. Ora vuole diventare produttore, sempre porno. Una deliziosa Lolita minorenne che sta al balcone delle ciambelle farebbe al caso suo. Ben girato e recitato: un pezzo d’America che stava per votare Trump.

 

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