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Cosa può fare il mondo del cinema per reagire alla crisi pandemica senza piangersi addosso

Paolo Del Brocco*

Finanziamenti a pioggia non produrrebbero risultati industriali apprezzabili. Servono riforme culturali (e fiscali) e una strategia per adattarsi a una nuova fruizione

Il cinema e l’audiovisivo, parti fondamentali dell’industria culturale italiana, sono tra i settori più colpiti da questa crisi. I set sono fermi, le produzioni sospese e le sale cinematografiche sono chiuse. Si tratta di centinaia di aziende, 61.000 lavoratori per le attività dirette della produzione, 172.000 con l’indotto. Sono 1.650 le strutture per 4200 schermi, ora spenti. Un comparto che, considerato nella sua interezza (produzione, industrie tecniche, distribuzione, esercizio e servizi), è in grado di sviluppare un moltiplicatore economico significativo: ogni euro investito riesce a generarne altri quattro. La priorità è salvaguardare i posti di lavoro anche per non spegnere il motore produttivo del nostro immaginario. Utile quindi sollecitare un confronto su possibili proposte concrete e soluzioni, anche creative, funzionali alla ripartenza e allo sviluppo dell’industria dell’audiovisivo, appena sarà possibile.

 

Rispetto all’esigenza di liquidità delle imprese sarà centrale il rapporto con il sistema creditizio. Sarebbe utile semplificare, per le società cinematografiche, i criteri d’accesso ai finanziamenti sottoposti a garanzia dello stato, anche con un protocollo d’intesa tra istituti bancari e Anica per ridurre i tempi di erogazione del credito, alleggerendo le istruttorie. Auspicabile l’estensione massima possibile della copertura di garanzia dello stato per i finanziamenti alla produzione cinematografica, nonché l’ampliamento del limite del 25 per cento sul fatturato, in considerazione della peculiarità del piano finanziario dei film.

 

Rispetto al Tax Credit, potrebbero essere ridefinite le modalità relative alla cessione e quindi alla liquidazione del credito d’imposta alle banche, prevedendo, in accordo con la Dg Cinema, la possibilità di un frazionamento della procedura attuale con certificazioni parziali, accelerando così l’iter burocratico.

 

Riguardo le risorse di sistema, il nuovo stanziamento di 130 milioni previsto nel fondo “emergenze spettacolo dal vivo, cinema e audiovisivo” si aggiunge alla legge Franceschini che mette a disposizione del settore una base rilevante di almeno 400 milioni all’anno. In tal senso sarebbe funzionale dare piena operatività alle linee d’intervento previste nei decreti, liberando tutto il potenziale insito nella legge, anche responsabilizzando gli Ott sulla produzione nazionale, monitorando il rispetto delle quote d’investimento obbligatorio, così come avviene per i broadcaster.

 

Un’ipotesi, da approfondire tecnicamente, potrebbe essere quella di un fondo straordinario per il cinema a capitale misto, con il coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti e di capitali privati: dai piccoli risparmiatori ai grandi brand italiani che otterrebbero un ritorno anche in termini di corporate reputation. Il fondo contribuirebbe alla produzione di 100 film in due anni. Le risorse sarebbero assegnate con meccanismi stabiliti da un comitato composto da Cdp, Mibact, Anica, e gestite da un’entità dotata di un know-how operativo-gestionale snello. Il fondo verrebbe remunerato dai margini dei film, a valle degli sfruttamenti, in base alla quota investita.

 

Sempre sul tema risorse, significativa la dichiarazione dell’ad della Rai, Salini, che conferma il perimetro degli investimenti nell’audiovisivo, ribadendo la centralità del servizio pubblico in un momento così incerto. Tuttavia Rai, se messa in condizione, potrebbe fare di più: come è noto il canone unitario, dal 2015, ha subito una riduzione di 23 euro a famiglia, una legittima decisione politica visto che la riscossione tramite bolletta elettrica ha limitato drasticamente l’evasione. L’ammontare complessivo del canone non viene comunque versato interamente all’azienda: sono circa 190 i milioni di euro che lo stato trattiene a vario titolo, a fronte della giusta esigenza di risanamento dei conti pubblici. Alla luce del momento cruciale però, se le condizioni di finanza pubblica lo consentissero, si potrebbero lasciare, in tutto o in parte, queste risorse per 2/3 anni alla Rai, con vincolo di destinazione agli investimenti nella produzione audiovisiva, con un occhio di riguardo per le piccole società e i giovani talenti. Un valore che, unito agli investimenti derivanti dalle quote obbligatorie, favorirebbe un vero rinascimento italiano della produzione culturale con benefici per tutta la filiera, con relativa creazione di posti di lavoro, ricchezza, reddito, fiscalità.

 

Riguardo Rai Cinema, negli anni la società ha ricoperto un ruolo centrale per l’industria, mantenendo quanto più ampia possibile la base produttiva, secondo criteri di differenziazione del prodotto e dei generi, garantendo un largo pluralismo produttivo. Nei giorni a venire daremo seguito a tutti gli impegni presi con i produttori indipendenti continuando a supportare i progetti in sviluppo, le produzioni sospese e quelle posticipate. Per i film distribuiti da 01 faremo tutto il possibile per attendere la riapertura delle sale e consentire un’efficace programmazione a tutela dell’esercizio, riprendendo dal punto in cui ci siamo fermati: “Gli anni più belli” di Muccino e “Volevo nascondermi” di Diritti. Non siamo comunque contrari, in linea di principio, all’uscita di alcuni film direttamente su piattaforma.

 

Siamo consapevoli, in questa fase emergenziale, di avere una maggiore responsabilità verso il comparto e dell’esigenza di ridisegnare una politica d’intervento da “dopoguerra”. Ciò non significa adottare meccanismi assistenzialistici di valorizzazione automatica dei diritti che sfocerebbero in inutili finanziamenti a pioggia, senza produrre risultati industriali apprezzabili. Pensiamo piuttosto a una soluzione incentrata sulle aziende e sulla loro ripartenza, proporzionata alle differenti esigenze, prospettive e dimensioni dei produttori. Un piano d’investimento di respiro biennale che dia certezza e continuità di lavoro all’industria, destinando una quota alle componenti più fragili della produzione (opere prime/seconde, giovani produttori, piccole realtà produttive del mondo del documentario, film di valore sociale) e garantendo allo stesso tempo il ruolo industriale dei player più rilevanti, con finanziamenti basati sul gap economico necessario per la chiusura dei progetti più complessi.

 

Rispetto alla sala è difficile affermare che le modalità di fruizione siano cambiate per sempre o che tutto tornerà come prima. In caso di riapertura con capienza ridotta, per consentire a una parte di pubblico di rimanere in contatto con il prodotto cinema, sarebbe utile sviluppare una “speciale piattaforma streaming” nella modalità di “Home Remote Theatre” che consenta di fruire anche da casa dei film in sala, rispettando l’orario di programmazione della proiezione. Il biglietto virtuale andrebbe alla sala che programma il film più vicina all’utente grazie alla geolocalizzazione della app.

 

In tutti i casi è impossibile immaginare il cinema senza i cinema. L’importanza dello sfruttamento dei film in sala non è solo legata alla normativa e all’economia. Le funzioni culturali e sociali di un film sono e rimangono connesse alla sala, sarebbe imprudente pensare a lungo termine al solo consumo domestico. E’ una questione di libertà espressiva e linguaggio narrativo legato alla nostra tenuta identitaria, in un contesto dove i contenuti sono ideati e proposti da aziende globali guidate da interessi sovranazionali.

Qualcosa cambierà per sempre dopo questa esperienza collettiva. Anche al cinema spetta un ruolo estremamente delicato: dare un senso condiviso a quanto è successo, partecipando alla ricostruzione, come nel dopoguerra, dei valori fondanti e dei significati di riferimento per la nostra società, soddisfacendo le esigenze sociali e culturali dei cittadini. Un compito non semplice ma che il cinema ha già svolto nel corso della sua storia, dimostrando sempre di essere all’altezza del proprio ruolo.

 

*Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema

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