Alberto Sordi ne "Il vedovo"

La grande commedia italiana

Michele Masneri e Andrea Minuz

C’è tutto il paese del Boom, e non solo, nel primo film che fanno insieme Risi e il suo cervello, Sonego. Nevrosi e allucinazioni. E che farebbero oggi Elvira-Franca Valeri e Cretinetti-Alberto Sordi?

AM “Commedia grossolana, male sceneggiata e peggio diretta”. E’ la recensione del “Vedovo”, Corriere della Sera, 29 novembre 1959. Stroncatura senza appello, non firmata (all’epoca non usava) che si chiude così: “Il film è girato a Milano, ma la città non ha alcun motivo di compiacersene”. Marco Risi diceva, “ho una scatola con tutte le recensione dei film di papà, trovarne una positiva è un’impresa”, però questo qui le sbaglia proprio tutte; forse spiazzato dai personaggi, tutti spietati, tutti un po’ folli; Sonego sosteneva che all’epoca “non si teneva mai abbastanza conto del fatto che Sordi fosse veramente mezzo matto”.

 

La stroncatura senza appello del “Vedovo” sul Corriere. Il critico di allora spiazzato dai personaggi, tutti spietati, tutti un po’ folli

Elvira farà colazione in villa o in grattacielo, si chiede Cretinetti all’inizio. Lui sogna di andare in alto, ma finirà molto in basso

MM Nel “Vedovo” Sordi è pazzissimo.

 

AM Fa quasi paura. Per Risi era un film come un altro (“mi piacciono solo i film che sto per fare, dopo non vado neanche a vederli”) ma è la nostra commedia più perfetta, moderna, cattivissima; anni luce avanti a molta roba che è venuta dopo; non trovo una serie con il ritmo e la logica implacabile dei primi venti minuti del “Vedovo”; poche scene del cinema italiano sono all’altezza di quando Sordi apprende dell’incidente e eredita tutto: “Dov’è la mia stellina? E’ volata in cielo… la mia stellina non c’è più!”. E poi lei, la cara Elvira; dimmi un personaggio femminile di Pasolini, Moravia, Fellini, Antonioni con la modernità, l’intelligenza, la determinazione, le giacche a quadri di Franca Valeri nel “Vedovo”; ma insomma le femministe che ce l’avevano con Risi l’hanno mai visto il film?

 

MM E’ il primo che fanno insieme, Dino Risi e il suo cervello, Rodolfo Sonego. C’è Franca Valeri che chiama la sua mammetta, e c’è soprattutto il primo delitto moderno italiano, l’omicidio Fenaroli dell’anno prima. E’ un delitto misto milanese-romano. Delitto in presa diretta, ready made. Il 10 settembre 1958 a Roma al civico 21 di via Ernesto Monaci, quartiere Nomentano, la cameriera apre e la padrona è riversa. C’è un movente clamoroso, una polizza d’assicurazione da 150 milioni di lire in caso di morte violenta, beneficiario il marito, che però sta a Milano. Il Fenaroli, self made man, geometra che si dice ingegnere, ha l’impresa edile, vuole partecipare al Boom come tutti: ma non gliela fa. Ha un sacco di debiti e preferisce far fuori la moglie, e riscuotere la polizza. E’ l’anno in cui viene aperta l’autostrada del Sole. Gadda se ne sta alla Balduina, mentre per questo Pasticciaccio Rodolfo Sonego scrive subito il film più pazzo di Risi-Sordi.

 

AM Sonego capisce subito che quel delitto racconta il Boom. All’italiana, naturalmente: Fenaroli si immagina un delitto perfetto alla Hitchcock ma pieno di buchi, casini, errori e Sonego li mette in fila per costruire la trama. “Oggi è difficile scrivere storie perché ormai la realtà supera la fantasia”, quando volte l’abbiamo sentita? “Il vedovo” è la dimostrazione che son tutte scuse; la realtà superava la fantasia anche allora, ma la fantasia era scritta meglio.

 

MM E’ delitto industriale, 2.0, né rurale né balneare. Ci si allontana finalmente dal duplice canale obbligato dei delitti italiani: dramma alla Malavoglia (saghe meridionali in varie varianti rurali, la notabile e la proletaria) e vizio degenerato-balneare (Parioli, Capocotta, fregole democristiane e della Kasta). Qui invece è un delitto capitalistico e realizzato con le migliori tecnologie disponibili all’epoca: il killer, incensurato, era un ragazzo assunto dall’imprenditore a progetto o co-co-co. Deve andare a Roma e ammazzare, e basta. Lavoro guadagno pago pretendo.

 

AM Tipo rider Foodora. Senza diritti.

 

MM Da Milano scende a Roma in aereo col Malpensa-Ciampino (perché Fiumicino non è stato ancora costruito). Poi torna su con l’ultimo treno notturno da Termini. Milano-Roma in giornata, come poi noi poi oggi.

 

AM L’omicidio pendolare come test di tenuta delle infrastrutture del paese. Oggi il piano crollerebbe sul wi-fi di Trenitalia.

 

MM Snack dolce o salato, si torna sempre lì.

 

AM Sì ma l’omicidio in business class non piace. Siamo fermi a don Matteo in bicicletta. Niente alta velocità.

 

MM Però il processo Fenaroli, prima di Vermicino, è anche il primo grande cortocircuito tra tv e realtà. Un “circo mediatico”, si direbbe oggi, dottò. Before Franca Leosini. Ventimila persone assiepate fino alle 5 di mattina davanti al tribunale di Roma, bibite e panini e Gassman con Anna Magnani tra il pubblico ad attendere la sentenza. La Rai appena nata. Lello Bersani, le folle divise tra innocentisti e colpevolisti. Cortocircuito totale tra realtà e fiction: il film esce un anno e mezzo prima del verdetto. Gli avvocati pescano nella commedia: si disse che l’arringa dell’avvocato, Nicola Madia, fosse presa dal “Processo di Frine” di De Sica di qualche anno prima (“chi sei tu, Raoul Ghiani? Quante volte te l’ho chiesto? Quante volte me lo sono chiesto. Sei lo strangolatore rapido, tecnico, puntuale di via Monaci? O il bonario e mansueto ragazzo di viale Coni Zugna?”).

 

AM Però oggi per noi “Il vedovo” è, di nuovo, Roma contro Milano, uno dei primi film a mettere a fuoco il clash culturale (chi meglio di un milanese a Roma come Risi?).

 

MM Il romano a Milano qui finisce direttamente in clinica psichiatrica. Il logorio della vita moderna.

 

AM Sordi/Nardi non regge il ritmo: “dopo cinque anni di lavoro consecutivo tra assegni scioperi cambiali”, lo spiega subito, all’inizio, quando va a chiedere un nuovo prestito. Ha avuto un crollo. Il direttore della banca gli dice: “La facevo ancora in clinica”.

 

MM Il romano a Milano qui è un pazzo mitomane. Un self made man che ha fatto solo danni, inseguito dai creditori, tra cui il commendator Lambertoni (“cusa fal à Milan co stu cald”). Pare proprio uno di questi magliari nuovi saliti a Roma e poi arrestati (“a Milano non usa”), oppure grillino-startupparo che sognano la Silicon Valley (basterebbe esser nati in America, “dove se chiedi un prestito te lo fanno e ti dicono grazie”). Sordi si circonda di parenti che gli danno corda (lo zio che ha venduto il taxi a Roma per entrare nella sua startup tipo Uber (“bell’affare”, gli dice il suo omologo autista milanese) e alla fine siccome gli va tutto male naturalmente pensa che ci sia un complotto contro di lui. E decide di far fuori la moglie.

 

AM “La cosa più originale del ‘Vedovo’ – scrive Tatti Sanguineti – è l’apparizione della nevrosi e dell’antisemitismo come fatto nevrotico”.

 

MM Sordi-Nardi sbaglia tutto, fa speculazione sul petrolio ma incolpa la chiusura del canale di Suez; alla fine ne è convinto, “è sempre colpa loro, degli ebrei”. Lo dice pure Christian De Sica in “Vacanze di Natale”! Una mafia giudia che fa paura!

 

AM Elvira, però, imprenditrice seria, gli risponde: “tu parli male degli ebrei perché loro sanno fare gli affari e tu no”. Detto da Franca Valeri poi, che meraviglia.

 

MM Ed è subito Soros.

 

AM Ma tutto nel “Vedovo” si regge su nevrosi e allucinazioni. Dov’è che Nardi matura l’idea di uccidere la moglie? In convento, in piena crisi mistica, mentre parla con gli uccellini con Padre Agostino, vestito tipo raduno alpino. Torna in azienda e dice “ho capito che a un certo momento ognuno di noi si trova di fronte a un bivio. Da una parte c’è la vita moderna con la folle corsa del secolo ventesimo con la corsa al danaro. Dall’altra parte c’è la rinuncia”. “Bravo, ha scelto la rinuncia”, gli dice il suo attendente marchese Stucchi. “Ma che dice! Ho scelto la corsa al danaro!”. L’allucinazione del “Vedovo” inizia poi da un’indigestione di gamberetti al “Ronchetto delle rane”, nella Milano fuori porta, coi gamberetti che innescano il sogno con la morte di Elvira. “Un sogno a colori”, precisa Sordi-Nardi, che normalmente sogna in bianco e nero.

 

MM Il sogno del gamberetto viene svelato sotto la Torre Velasca, grande totem fallico-allucinatorio del film: costruita in quell’anno, 106 metri d’altezza, neomedievo dello studio Bbpr. E’ e sarà sempre “il” grattacielo milanese per eccellenza e dunque italiano, set di tutte le narrative milanesi (pure in “Sotto il vestito niente”, il giallo di molti anni dopo con deriva cinepanettonica). La Torre Velasca ha ascensori, macchine da scrivere, uniformi, segretarie, consumi. E’ il nostro “Mad Men”. Anche Don Draper in fondo l’aveva rovinato ’a guera.

 

AM E il “costume design”? Sordi in total black al funerale, pure con l’ombrello, gli occhiali, il cappello, e poi la giacca da guardiacaccia di Stucchi (“Marchese ma com’è s’è vestito? Cosa sono quelle toppe sulla manica?”); i tailleur di Elvira, la bombetta.

 

MM Elvira era ispirata da Anna Bonomi, gran sciura dei dané e fondatrice del Postalmarket. Oggi sarebbe nel board della Fondazione Prada. O forse sarebbe proprio Miuccia Prada.

 

AM Vivrebbero al Bosco verticale, lui a capo di una start-up che progetta ambienti wireless, la sera alla gintoneria di Davide a “sciabolare” il Cristal, con Nardi, l’amante, lo zio, Stucchi pieno di tatuaggi, foto a manetta, cameo di Cairo al posto del “cumenda”, che poi era Angelo Rizzoli.

 

MM Rizzoli c’è sempre – era un’ossessione di Rodolfo Sonego, lo mette in tanti film, c’è in “Una vita difficile”, è il self made man brutalone milanese, il cumenda. Era famoso per avere non uno ma due yacht, come qui nel film, “quello per i simpatici e quello per gli antipatici (quella per i simpatici, e le ragazze, era un dragamine riconvertito dai cantieri Baglietto, era lungo 46 metri, si chiamava “il Sereno”, aveva otto cabine con bagno, erano gli anni cinquanta, mica come oggi. Era detto “la barca dei cessi”).

 

AM Noi aspettiamo sempre che ci inviti Valsecchi nel suo yacht, un giro tra Ponza e Ventotene, per buttare giù il sequel populista-sovranista di “Ferie d’agosto”.

 

MM Comunque è chiaro che il tema del film è l’ascensore. Che sia il famoso ascensore sociale che in Italia non ha mai funzionato?

 

AM “Io lo conosco bene e so che arriverà molto in alto”, dice l’amante; finirà per precipitare nel vuoto.

 

Nel film l’eco del primo delitto moderno italiano, l’omicidio Fenaroli del 1958, un delitto misto milanese-romano

Il processo Fenaroli, primo grande cortocircuito tra tv e realtà. Il “cumenda”, che poi era Angelo Rizzoli, ossessione di Sonego

MM Se ci pensi, in “Mad Men” prendono l’ascensore un migliaio di volte, ma mai gli sarebbe venuto in mente di contarci per un delitto: è un meccanismo consolidato, è come progettare un crimine contando che si rompa il frigo. Invece per noi c’è questo strumento ancora misterioso. Il film però è tutto anche sui dubbi tra la dimensione orizzontale e quella verticale, onnipotenza e impotenza, si direbbe, facendo un po’ di psicanalisi, signora mia. Elvira farà colazione in villa o in grattacielo, si chiede Cretinetti all’inizio? Lui sogna di andare in alto, ma finirà sdraiato. Lunch in grattacielo, funerale in villa.

 

AM Ci sono anche interrogativi della modernità: industria o agricoltura? Quando crede d’essere rimasto vedovo, Cretinetti vuole liquidare subito i bovini per investire negli ascensori.

 

MM Le politiche industriali: sono cazzi. Ma oggi, per fare un bilancio dopo sessant’anni, la Thyssenkrupp degli ascensori sarà stata un investimento migliore dei bovini? Coi prezzi della Fassona felice forse aveva ragione Elvira.

 

AM E la cedolare secca?

 

MM Era poi il tema di un delitto molto attuale dell’anno scorso. Il 14 luglio la signorina Nicoletta Diotallevi rientra a Roma dalle vacanze, e il fratello Maurizio l’ammazza. “Erano due mesi che stavo pensando di ucciderla, ma il mio è stato un raptus, mi umiliava in continuazione”, ha detto il fratello. “Appena rientrata ha ripreso a darmi ordini, a trattarmi come un bambino”, sostiene l’assassino. Forse lei non lo chiamava Cretinetti, ma quasi. Strozzata con una cintura, il motivo della discussione era, secondo il reo confesso, che lei si teneva i soldi del bed and breakfast: “Parte del nostro appartamento lo affittavamo” – ha detto – “ma i soldi li voleva gestire solo mia sorella e a me toccava sempre chiederli”.

 

AM E’ il delitto Airbnb.

 

MM Stiamo ai fatti. Per tagliare il corpo della sorella, il Diotallevi ha utilizzato due seghe e un coltello da macellaio. Sbrigati gli smembramenti, butta tutto nell’apposito cassonetto, ma lì ci si mette il genius loci: l’Ama sta in sciopero, dunque i poveri resti non vengono ritirati per lungo tempo, l’uomo quindi scoperto. Dopo il sogno del gamberetto, l’incubo del cassonetto.

 

AM Ci si mette poi anche lo spirito dei tempi: un dipendente della municipalizzata che al ritrovamento dei resti fotografa e pubblica tutto su Facebook: “Gettare pezzi di cadavere in un cassonetto dietro la caserma del reparto volanti di Roma, pur sapendo che l’Ama svuota i secchioni quando cazzo je pare… Ma quanto sei cojone?”, è il commento.

 

MM Una battuta che sarebbe stata perfetta per Sordi (“a me, m’ha rovinato l’Ama”). Non sarebbe un bel soggetto già pronto? Come si può fare? Andiamo alla Siae?

 

AM Non c’abbiamo lo star system, c’abbiamo le “giornate degli autori”, c’abbiamo Elio Germano che cita Kropotkin da Fazio, ’ndo vai?

 

MM Neanche partecipare al concorso “Ama’s got talent”, l’idea della sindaca Raggi per premiare la creatività dei dipendenti dell’azienda municipale? Comunque si sa: mai affidarsi alle partecipate pubbliche: anche col rapimento Getty, si disse che l’orecchio celebre mozzato era causato dalle mancate risposte alle precedenti comunicazioni con la famiglia petrolifera. Per colpa delle Poste, che avevano perso il plico, non del capofamiglia tirchio. Si è capito, insomma: anche per i delitti, meglio lasciar fuori Roma, puntare su Milano, e sul privato.

(2 - continua)

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