Francesco Panella (foto LaPresse)

Come faremo a cenare fuori senza sentirci in ospedale? Parla un ristoratore dei due mondi

Marianna Rizzini

La nuova vita in mezzo alle montagne di plastica, le differenze di approccio tra Italia e America, i soldi, la cultura. Una chiacchierata con Francesco Panella

Roma. “Non possiamo mollare”. Francesco Panella lo dice al telefono, appena lo si contatta, ma l'ha detto qualche giorno fa, in tv, a “E poi c’è Cattelan” (SkyUno), leggendo una lettera aperta ai suoi colleghi ristoratori, lui che ristoratore lo è da sempre. “Sono nato in un ristorante”. Il ristorante, quello della sua famiglia, è un’istituzione: l’Antica Pesa di Roma, oggi anche sdoppiato con un locale gemello a New York, frequentato, tra gli altri, da Leonardo Di Caprio, Jennifer Lopez e Scarlett Johansson. Si aggiunge l’altro ristorante dal “nomen omen” di Feroce, cucina italiana vera e pura. Ma Francesco Panella è anche un comunicatore della ristorazione, con migliaia di fan su Instagram e un soprannome evocativo (“Brooklyn man”) che lo identifica come volto noto dello show-cooking nonché pilastro di “Little big Italy” (sul Nove), trasmissione-sfida tra ristoratori italiani nel mondo.

 

 

E ora, nel momento in cui il settore ristorazione, nel bel mezzo della fase 2 e verso la fase 3, lamenta perdite da 34 miliardi di euro, come ripetono le associazioni di categoria, chiedendo misure di sostegno più diretto nei vari decreti di rilancio, Panella insiste su un doppio concetto, “quello da cui non si può prescindere”, dice.

 

Il primo ragionamento ha a che fare con le differenze di trattamento dei ristoratori in Italia e in America. “Premesso che è un sistema economico diverso, direi che la differenza è spazio-temporale. Negli Stati Uniti si è reagito al problema subito a livello concreto: l’imprenditore in difficoltà poteva compilare un modulo e in sette giorni aveva un aiuto direttamente sul conto corrente. In Italia si è parlato di aiuti ma per l’applicazione pratica si è dovuto e si deve aspettare. E questo può creare disorientamento. Ma ripeto: è l’intero sistema a essere diverso”. Il secondo ragionamento, se vogliamo, è più culturale che economico. “Il nostro settore è fatto di persone che si prendono cura di altre persone, non smetteremo adesso”. Ma come si può procedere, dopo mesi di lockdown, allarme e previsioni negative che non hanno soltanto eliminato il turista dal panorama di città, litorali, laghi e monti, ma creato una sorta di diffidenza rispetto ai luoghi, i ristoranti oggi ancora visti da una parte del pubblico, nonostante le riaperture, come possibili teatro di contagio? Anche se i dati sulla diffusione del virus migliorano, il punto è, prima di tutto, dice Panella, “occuparsi del fattore psicologico, essenziale per ricostruire quello che oggi sembra mancare: la domanda. E per rilanciare la domanda dobbiamo prima creare le basi per la sicurezza e poi comunicarla”. E’ per questo che, nei mesi di lockdown, Panella, con un pool nazionale e internazionale, nel corso di “riunioni-fiume a distanza con professori, startupper e colleghi”, ha sviluppato in più punti l'idea “di farci trovare pronti per la ripartenza e aiutare per quanto possiamo il settore, soprattutto per quanto riguarda i piccoli imprenditori che rischiano di non riaprire”.

 

Oltre a fornire, negli Stati Uniti, con la onlus “Italians feed America”, pasti caldi gratuiti per chi non può più sostenere il peso dell'emergenza, Panella si è messo al lavoro sul fronte del “far percepire sicurezza e proiettarsi verso il dopo”, con una serie di soluzioni pratiche, a fianco di Costa Group e di un gruppo di designer che hanno lavorato sul come conservare, come servire, come far sentire il cliente protetto, come “trasformare il gap di oggi in opportunità e rivedere nel frattempo il modello produttivo, prendendo la difficoltà come occasione per fare impresa in piena sostenibilità ambientale”. Ne è uscito un piano integrato di azione per ristoratori, anche illustrato da una serie di slide. Con il professor Davide Cassi, Fisico della Materia all'Università di Parma, e con gli ingegneri di Unox di Padova, creatori di macchinari per la ristorazione ad alta prestazione, si è partiti dal sistema di cottura e conservazione dei cibi: dai “forni del domani” che permettono anche ai self-service e ai bar un metodo “tutto in uno” in poco spazio e in sicurezza, al sistema di conservazione che, una volta eliminata la carica batterica, permette di “mettere in sicurezza” fino a quaranta ore i piatti (messi sottovuoto e poi “rigenerati” in poco tempo), in modo che anche i grandi alberghi possano evitare sprechi. E se nella vita prima del virus il buffet poteva essere una costante in caso di grandi numeri, oggi, dice Panella, “si può ovviare ai rischi con pareti frigorifere caldo-freddo in cui il cibo è esposto in singole vaschette, soluzione di 'architettura' che permette al cliente una scelta rapida e sicura e al ristoratore di razionalizzare gli spazi”.

 

C'è poi il problema del possibile assembramento ai banconi dei bar, spesso anche all'interno degli stessi ristoranti. Panella ha in mente una soluzione in tema di “show cooking e mixology” in sperimentazione negli Stati Uniti: “Il barman viene direttamente al tuo tavolo con una serie di boccette, one-to-one per creare un cocktail personalizzato, e il cliente che completa l'operazione in prima persona”. La “Banca del vino”, invece, è il sistema pensato, per “coniugare sicurezza, logistica e costi: bottiglie in conto vendita, cantina da remoto sempre a disposizione, con gestione tecnologizzata”.

 

Ma il punto su cui più si è manifestato più allarme è quello dei materiali. Molti ristoratori si domandano infatti come far sentire il cliente non a rischio non facendosi sommergere da montagne di plastica. “Oltre alla suddetta azienda di Padova, con Knindustrie abbiamo studiato la soluzione per eliminare il rischio di contaminazione, con pinze rimovibili per piatti e pentole, coperchi per mettere in sicurezza le portate e padelle antibatteriche che fungono da piatti, in rame e ceramica”. Quanto al rischio contaminazione nell'ambiente, l'idea è, dice Panella, “una carta da parati anti-batterica e antimicrobica, lavabile e di design, soluzione adatta non soltanto ai ristoranti ma anche a scuole e ospedali”. E per il delivery si pensa a contenitori anche riciclabili: “Zero spreco, zero rischi, anche per il futuro”. E le ordinazioni? E le file, con ulteriore pericolo assembramento? “La tecnologia soccorre: menu leggibile con codice QR dal cellulare, pagamenti via telefono e carte di credito e ora puntiamo anche sulla app ideata da Paolo Barletta. Si chiama 'ufirst': ti metti in fila da remoto e ricevi una notifica quando è il tuo turno, e a quel punto entri”. Ma come comunicare tutto ciò agli imprenditori in crisi? Oltre a un programma tv con Discovery, Panella ha in mente una specie di tour: con Costa Group porterà in giro per l'Italia una specie di show pratico per far capire ai ristoratori come potrà funzionare un ristorante “no-Covid” che si proietta oltre l'emergenza, “vista la sostenibilità ambientale”. L'importante, dice, “è lavorare sulla fiducia. Io sarò anche un sognatore, ma sono sicuro che, comunicando nel modo giusto, tornerà, negli imprenditori e nei clienti”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.