Vongole in guerra
In Europa è in corso uno scontro titanico tra Italia e Spagna sui millimetri dei molluschi, e forse lo vinciamo anche stavolta
L’Italia alle vongole” era la famosa invettiva di Mario Pannunzio. “L’Europa delle vongole” è l’altrettanto famosa accusa degli euroscettici. Ma una “guerra” dei molluschi è ora davvero in corso tra noi e la Spagna. La vongola è un nuovo Piave, e forse servirà a far capire anche quanto gli spesso disprezzati regolamenti e direttive europei siano in realtà uno strumento indispensabile.
Già il nome vongola, in realtà, è una convenzione, per gestire nel linguaggio corrente una congerie di specie di molluschi bivalvi della famiglia dei Veneridae, anche se con in comune l’aspetto esteriore e il valore nutritivo. In 100 grammi la vongola ha infatti 11 grammi di proteine; 2.5 di carboidrati; 2.5 di grassi; vitamine del gruppo A utili per pelle, capelli e vista contro i radicali liberi e l’invecchiamento cellulare: vitamine del gruppo C per il rafforzamento del sistema immunitario; vitamine B; sali minerali come potassio, magnesio, calcio, ferro e sodio. Una “carne dei poveri”, che anche i più indigenti potevano agevolmente raccogliere sulla spiaggia in bassa marea. Il veneto beverassa o bibarassa come il romagnolo purazi verrebbero appunto da “poveraccia”: la gente che li utilizzava. Il napoletano “vongola”, adottato in italiano, è invece dal latino volgare conchŭla: conchiglietta.
Il copyright è di Pannunzio: un “sentimento” che “si scioglie, di preferenza, di fronte a un piatto di spaghetti alle vongole”
Già i romani, in effetti, ne facevano tali scorpacciate che i gusci vuoti erano poi riciclati tra i ceti più umili come posate e stampini. Gusto country dell’epoca, i ricchi li copiavano poi con manufatti in coccio, pietra o metallo. Ma “country” in latino si dice “campania”, da cui il nome della regione dove tra i romani facoltosi era di moda avere la villa. In Campania è Pompei, dove di questo tipo di materiali ne sono stati trovati in quantità. Pure dalla Campania gli spaghetti con le vongole sono stati lanciati come icona di napoletanità, ma anche di faciloneria. Il fondatore del Mondo, appunto, nel 1952 si sentì provocato da un attacco del Tempo contro la “malapianta azionista”. Uno sgradevole “atteggiamento dello spirito” definito dal giornale di Renato Angiolillo tipico di “visi pallidi” e “verdognoli” poveri di “palpiti” e di “patriottismo”, antipatici, sarcastici ed acidi. Il 18 ottobre, apparve sul settimanale un “Taccuino” anonimo ma chiaramente scritto da Pannunzio in persona in cui i “visi pallidi” erano esaltati in reazione al trionfo dei “visi rosei”, “pronti a commuoversi se la rappresentativa di calcio perde nel confronto con una rappresentativa straniera, ma indifferenti a tutti quei problemi di solidarietà, onestà, buona amministrazione sui quali si fonda, in definitiva, il prestigio di una nazione”. Pieni sì di “tolleranza” e “comprensione”, ma nella misura di un “sentimento” che “si scioglie, di preferenza, di fronte a un piatto di spaghetti alle vongole”.
L’“azionismo” insomma, era sì uno stato d’animo “coi suoi calvinismi eccessivi, con la sua amara ironia, e, sia pure, con l’acidità che provoca una battaglia continuamente ingaggiata e continuamente perduta”. Ma come reazione all’atteggiamento di “chi invece ha definitivamente optato per l’Italia alle vongole”. Espressione fulminante che evoca la difficoltà di rimanere contegnosi di fronte a un piatto sì saporito, per gustare il quale però la forchetta deve sia arrotolare gli spaghetti che cogliere le vongole. Anzi, ormai anche aprirle: cosa che è tentazione fare con le mani.
Proprio sul Foglio Camillo Langone ha poco fa ricordato come ormai un po’ dappertutto i ristoranti servono gli spaghetti con le vongole ancora nel guscio, quando tutti i manuali di cucina italiana classici raccomandano invece di sgusciare.
Bruxelles si occupa davvero delle dimensioni delle vongole da pescare. Solo che non è una perversione, ma una misura indispensabile
Però, anche se la vongola è identificata con Napoli e il Tirreno, sono invece beverasse, bibarasse e purazi dell’Adriatico, materia prima per risotti e brodetti, il soggetto dell’epico scontro italo-spagnolo. “L’Unione europea che serve solo a fissare la lunghezza delle vongole”, è una storica lamentela eurofoba. Ormai talmente stantia che in molti la ritengono una fake news. Invece, davvero Bruxelles si occupa delle dimensioni delle vongole da pescare. Solo che non è una perversione, ma anzi una misura indispensabile. Il limite, infatti, impedisce di pescare esemplari troppo piccoli, ai danni del necessario ripopolamento.
Come si diceva, però, il termine copre una quantità di specie diverse dai nomi scientifici e comuni a volte pittoreschi. Allude infatti alla somiglianza del mollusco con l’organo sessuale femminile il genere Meretrix, “prostituta”. La Meretrix meretrix: una prostituta al quadrato che venne chiamata così nel 1758 da Carlo Linneo in persona, e che è nota anche come vongola del Pacifico. Ma c’è anche una Meretrix lyrata anch’essa definita vongola del Pacifico: in alternativa vongola bianca del Pacifico o vongola vietnamita. Girando per i sette mari abbiamo poi la vongola artica (Arctica islandica); australiana (Austrovenus stutchbury); altre due vongole del Pacifico (Paphia textile e Paratapes undulatus); la vongola canadese (Pitar rostrata); venezuelana (Tivela mactroides); uruguayana (Protothaca staminea); e soprattutto quella Venerupis philippinarum più nota coi termini ossimorici di vongola verace filippina o falsa vongola verace. E’ lei che nei nostri mercati ha ormai da tempo preso il posto della vongola verace: una Venerupis decussata nel corso dei secoli depauperata dal troppo sfruttamento. Tant’è che dagli anni Ottanta i nostri allevamenti sono soprattutto di veraci filippine. Per gli appassionati, sempre meglio che gli spaghetti alle vongole fujute inventate da Eduardo De Filippo nel 1947 una sera che non gli era rimasto quasi niente in casa: vongole “scappate”, e simulate nell’aroma con un sovraccarico di prezzemolo. Ma nell’Adriatico si trova anche la Chamelea gallina: vongola comune o vongola gallina, che non si riesce a coltivare e si può solo pescare. E in tutto il Mediterraneo, oltre che nell’Atlantico, sta la Dosinia exoleta: il lupino.
Non c’è dunque solo una Italia alle vongole. In Islanda, ad esempio, nel 2006 è stata pescata una vongola di 400 anni: come per gli alberi, l’età può essere stimata dagli anelli. L’hanno ribattezzata Ming: dal nome della dinastia cinese che regnava al tempo della sua nascita. Un po’ più giù, in Irlanda c’è invece Molly Malone: la venditrice ambulante protagonista di una canzone che è considerata un inno non ufficiale di Dublino, ed a cui è stata dedicata nel 1988 pure una statua in bronzo che gli abitanti della capitale irlandese chiamano affettuosamente “the tart with a cart”: la zoccola con la carriola, perché secondo la tradizione oltre che di frutti di mare faceva commercio anche di sé stessa. Comunque, un seno bene in vista accanto al suo carretto sembra alludere a entrambe queste sue fonti di reddito. “Nella bella città di Dublino, / dove le ragazze sono così carine/ vidi per la prima volta la dolce Molly Malone/ che portava il suo carretto,/ per strade strette e larghe/ gridando ‘vongole e cozze vive!’” dice la canzone. “Crying, ‘Cockles and mussels, alive alive oh!’” E appunto “cozze e vongole vive”, insiste il ritornello, mentre le strofe successive spiegano che i genitori avevano fatto lo stesso mestiere, che lei un giorno si ammalò e morì di febbre, ma che il suo fantasma continua a vagare col carretto grudando “vongole e cozze vive”. “Vongole e Cozze” è infatti un titolo alternativo. Lo spartito più antico è del 1876, ma la storia è stata ritrovata in un testo del 1790, e una Molly Malone morì davvero a Dublino il 13 giugno 1699.
Cucinate in Irlanda in zuppe che in Scozia potevano contenere anche carne di pecora, le vongole arrivarono in America col rancio dei marinai, anche se in effetti gli Indiani già le conoscevano. Sia in Perù che in British Columbia sono stati trovati strati di conchiglie che permettono di attestarne il consumo fino a 10.000 anni fa, e che hanno permesso anche di studiare il fenomeno El Niño. 5500 anni fa ne inizia una vera e propria coltivazione, e a un certo punto, gli indiani Algonchini del nord-est iniziano addirittura a utilizzare le valve come moneta. Forse ci commerciarono anche i marinai bretoni inventori della Clam Chowder. Altrettanto iconica della cucina del New England di quanto gli spaghetti alle vongole non siano di quella napoletana, è rappresentata in una versione in scatola Campbell da un quadro di Andy Wahrol e gustata dai personaggi di Moby Dick. “Ma un vapore caldo e appetitoso che usciva di cucina servì a smentire la prospettiva in apparenza poco allegra che avevamo davanti”, racconta Herman Melville. “E quando poi arrivò la zuppa fumante, il mistero venne deliziosamente chiarito. Dolci amici aprite bene le orecchie! Era una zuppa di piccole vongole succose, appena più grosse delle nocciole, mescolate con gallette peste e porco salato affettato a scaglie sottili, il tutto arricchito di burro e abbondantemente condito con pepe e sale. Avendoci il gelido viaggio stimolato gli appetiti, e Queequeg in special modo vedendosi davanti il piatto che preferiva, e poiché infine la zuppa era veramente straordinaria, ripulimmo tutto in un attimo”.
A un certo punto gli indiani Algonchini del nord-est iniziano addirittura a utilizzare le valve come moneta di scambio
Gallette e porco salato erano la base del rancio dei marinai, cui per dare sapore nel XVIII secolo si ebbe l’idea di aggiungere vongole appena pescate. L’America alle vongole fu trascritta in un ricettario bostoniano nel 1751: arricchita con patate, burro e crema di latte. Nel Maine si condisce poi con la panna, e a New York col pomodoro: una “eresia” che nel 1939 il Maine vietò addirittura per legge. A Seattle e Portland si mette invece al posto della pancetta salmone affumicato, mentre nel Rhode Island le vongole finiscono in torte o col pan grattato. L’America alle vongole della Clam Chowder e l’Italia alle vongole di cacciucco e brodetto sono state poi sposate dagli emigranti italiani nel famoso cioppino di San Francisco.
Ma c’è anche una Nuova Zelanda alle vongole: la Toheroa Clam Soup, che alla De Filippo a vongole, latte, farina, burro e pepe somma tantissimo prezzemolo. E una Corea alle vongole: la Jogae Sigumchi Guk, con spinaci. Un Perù alle vongole, anche se si fa soprattutto con pesce marinato in limone il seviche: piatto di origine incaica, il cui nome in quechua significa “cibo tenero”. Un Giappone alle vongole: in salsa di soia nello Tsukudani, nella zuppa di miso o in quella “pentola mongola” che è la versione orientale della fonduta. Una India alle vongola, che combina variamente le vongole con curry e latte di cocco: absit inuria verbis, uno dei piatti più prelibati si chiama “kakka”.
La lobby dell’industria ittica andalusa ha mobilitato gli europarlamentari spagnoli. La guerra per i millimetri
E poi c’è la Spagna alle vongole, che assieme ad altri frutti di mare, crostacei e vari tipi di carne finiscono con riso e zafferano nella padella della paella: due termini strettamente imparentati. Ma appunto questa Spagna alle vongole si scontra con l’Italia alle vongole. O meglio: all’Italia delle beverasse, che dopo essere state raccolte per secoli sulle spiagge dal ’700 iniziano a essere pescate dai veneziani su piccole imbarcazioni a remi a fondo piatto e con un “palo a mano” manovrato dalla barca stessa. Poi ci si applicò il motore, e dagli anni 70 si sono meccanizzare le draghe. Ma a quel punto si è iniziato a prelevare tanto che da una parte per rimpolpare si è appunto introdotta la vongola verace filippina. Dall’altro ha iniziato a essere approvata una regolamentazione via via sempre più europea.
Secondo l’Ue, infatti, dal 2015 sotto i 25 millimetri le vongole non si potrebbero pescare. Ma nel 2017 fu fatta un’eccezione per l’Adriatico, dove se ne possono pescare anche di 22 millimetri proprio in considerazione della peculiarità di quell’ecosistema. Un vantaggio concesso a un settore da 700 imprese e 1.600 addetti, che è uno dei due principali produttori d’Europa, in concorrenza con l’altro gruppo di grandi aziende che opera in Andalusia: soprattutto nel Golfo di Cadice. Ma non definitivo: la deroga è infatti triennale, e scade nel 2020. E la lobby dell’industria ittica andalusa ha mobilitato gli europarlamentari spagnoli, che hanno presentato in europarlamento la richiesta di non rinnovarla.
Alla Commissione Pesca a condurre la battaglia è la leghista Rosanna Conte: “L’ho spiegato ai colleghi spagnoli che in passato hanno sollevato problemi di concorrenza, che il regolamento di base si occupa di proteggere le risorse, e non di problematiche di mercato”, ha detto. “La stessa Commissione Pesca è competente per la tutela della pesca, e non per valutazioni di concorrenza: ogni obiezione per motivi economici pertanto deve essere allontanata”. Il Pd è d’accordo, in un inedito clima di concordia nazionale. Ma, insomma, secondo il partito a parole più nemico dell’Europa delle vongole, ci vuole invece ora proprio una Europa delle vongole per salvare l’Italia delle vongole. “Non capisco perché si debba mettere in discussione una valutazione, quella della Scientific, technical and economic commiteee for Fisheries, che è stata positiva”, dice la Conte. “L’Italia i suoi compiti per casa li ha fatti. Siamo stati virtuosi e avviato quella che potrebbe diventare una buona pratica utile per migliorare la salute del Mediterraneo”.
Antisemitismo e fornelli