Addio alla Dolce Vita

Stefano Di Michele

Così, “la festa appena cominciata è già finita, il cielo non è più con noi” – e non ci resta, dunque, che Bocchino. E come nel “Blues in memoria” di Auden, “allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni” – e per fortuna che ci resta Bocchino. Riponga Apicella la sua chitarra, e siccome “non servono più le stelle: spegnetele anche tutte”, sgombrate l'Olgettina, nascondete la velina – e meno male che Bocchino c'è.

    “Chi non ha mai conosciuto l'Ancien Régime non potrà mai sapere cos'è la dolcezza della vita” (Talleyrand)

    Così, “la festa appena cominciata è già finita, il cielo non è più con noi” – e non ci resta, dunque, che Bocchino. E come nel “Blues in memoria” di Auden, “allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni” – e per fortuna che ci resta Bocchino. Riponga Apicella la sua chitarra, e siccome “non servono più le stelle: spegnetele anche tutte”, sgombrate l'Olgettina, nascondete la velina – e meno male che Bocchino c'è. Scenda finalmente D'Alema dall'Ikarus, vadano Paola e Ricarda – lesbiche felici e fresche spose – anziché a danzare a fare apostolato di buona causa nei dibattiti ai festival democratici –  e Bocchino resta e c'è. Scomponete Capezzone, abbassate i tacchi alla Santanchè, spegnete il Tg4, “imballate la luna, smontate pure il sole” – ma Bocchino lasciatecelo. Dimagrisca la Casta a colpi di tagli forzati, dimagrisca il Cav. con damigianate di tisane scarnificanti, si astenga Vendola dal poetare: “Chiudete i pianoforti”, dunque, ora che annotta stona la nota,  e a mezza bocca si può solo mormorare “la musica è finita, gli amici se ne vanno” – tranne Bocchino, che per fortuna resta. Si faccia casta, come la diva, ma ancor più casta così da non apparire affatto diva, la Costa vorace (le “sanguisughe” che Mario Giordano racconta e resoconta e denuncia, pure lui!, senza proferir parola, che pure le sanguisughe hanno orecchie: poco intendono, ma molto sentono) – giù dagli aerei di lusso, via da ristoranti di lusso (persino da quelli parlamentari) giù dalle auto blu – meno male Bocchino che ci resti tu. “Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono”, non solo perché il triste blues del poeta lo chiede, ma pure per evitare di lasciare tracce di troppe chiacchiere compromettenti – Bocchino, nel deserto ci accompagni. E “svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco”, ché tale è la contingenza e tale del paese l'esigenza, e svuotatemi pure di un po' di soldi – dicono Marchionne e LCdM e persino Briatore, che se la patrimoniale serve loro il patrimonio mettono: e se continua così, con tale affollarsi di danarosi, va a finire che gli statali non sapranno più a chi dare i loro, di soldi, per la manovra – ma Bocchino c'è, e Bocchino consola. E si prenda ad esempio, allora, e si tenga quale monito, un'eccellenza italiana esportata pure all'estero quale Rocco Siffredi, che avendo adeguate misure ha pure il senso della misura, e dunque accantonata la patatina pubblicitaria s'offre, generosamente e intelligentemente, alla causa degli Animalisti italiani, per la battaglia contro quei cazzoni & coglioni (appunto!) che abbandonano i loro animali per andare in ferie: perché nella penombra che comincia ad avvolgere il lungo carnevale che abbiamo alle spalle la sensibilità s'impone – e mai noi da Bocchino vorremmo essere abbandonati.

    Non tanto caduta degli dei, piuttosto ruzzoloni di mezze calzette, ma è chiaro che dentro l'afa di questa estate 2011 triste y final, ciò che si sta sciogliendo è anche quell'idea di Dolce Vita della politica – e s'intende mica dolce perché buona, ma proprio perché un po' bucaniera e un po' sorprendente, un po' azzardata e un po' mignottesca – Dolce Vita, appunto, mica Vita Santa. Vita di gossip, di chiacchiere, di esagerazioni – di figure emergenti, di figure sommerse, figuranti innanzi tutto. Un po' di vizi pubblici – senza per questo essere gravati da private virtù. E una certa necessità del superfluo – quando l'essenziale non bussa alla porta: il reggicalze in vista, la festa che luccica, il sottosegretario fesso che gira inutilmente scortato, il “lei non sa chi sono io” pure quando neppure i suoi vicini sanno chi è lui, quel ragionevole e suggestivo e indigesto miscuglio di cialtronaggine e arroganza, il ministro ridanciano – e ride allo stadio e in Parlamento e a una pubblica manifestazione, e sfiora tette e soffia vicino magari con un principio di alitosi, e c'è molta allegria, un passarsi di risate da tavolo a tavolo. Poi, come il mutare della luce al tramonto – tutto si fa soffuso, quasi più rilassante, mentre i lineamenti cominciano a trasformarsi, e chi guarda non vede più ciò che prima vedeva: il pupazzesco, il quasi fumettistico (si può mai odiare Gambadilegno, anche se è Gambadilegno?) scivola pian piano verso una caricatura grottesca di Grosz, i suoi “pilastri della società” – il pitale sulla testa, teste piene di merda, il magistrato che tutto sovrasta, lo sbirro dell'ordine, la spada e la folla… Quando finisce la Dolce Vita, quasi sempre quella che si prepara è una Vita Amara – pur migliore, pur dei migliori. Vita Agra, comunque.

    E così, intanto ci teniamo sempre Italo Bocchino. Stretto e caro. Un benemerito al tramonto della Dolce Vita della politica – il raggio verde, come in quel famoso film, che illumina il tutto, prima che il tutto s'inabissi nell'ombra – così che persino il Fatto gliene rende onore e merito, “il politico più paparazzato dell'estate”. Il suo solare deambulare, imbermudato e persin conquistatore, per mare e per terra, debitamente scortato (“chi ha la scorta è obbligato a portarsela dietro”) – e già che si tirava dietro la scorta si è portato dietro anche la mitologica Sabina Began – ha illuminato con un ultimo sprazzo di luce gossipara il tunnel buio dove va a morire la Dolce Vita della politica. La signorina, essendo stata avvicinata a Dio dal Cav. – il Padreterno ha vie misteriose o soffre di grandi distrazioni – s'era generosamente offerta a motivo di redenzione dell'uomo di Fini – così da riavvicinarlo al Cav. che, a sua volta, un niente e t'allinea con l'Eterno. “Quando ho intuito che era stata mandata per mediare ho capito che è alla frutta”, sostiene Italo. “Mi sono detta: perché non provare a fargli fare pace con Silvio”, spiega Sabina – e quel suo andar per mari e spiagge a maggior gloria dell'amore tutto e del premier innanzi tutto, ambasciatrice ed esortatrice, quasi simile a novella Caterina da Siena la sorte l'innalza, che pure quella santa ardimentosa andava e, a maggior gloria dell'amore tutto e di Dio innanzi tutto, operava e spiegava, “sicché né diletti né piacimenti né stato né onore del mondo vi possano offuscare questo lume; né spine né triboli né ladro veruno vi possa impedire il corso di queste dolcevie…”.

    Dolcevie in politica e Dolce Vita della politica che ora segnano, in questa stagione, il passo ultimo. Piccola vedetta campana, Bocchino ne ha almeno tenuto alto il lume dell'ultima luce – le foto, le interviste, le chiacchiere da spiaggia. Persino il suo leader, Gianfranco Fini, che pochi anni fa era ripreso languidamente abbandonato in spiaggia, la mano vagante sul corpo dell'amata, ora consegna ai giorni che corrono foto di paterna sollecitudine in spiaggia, onda e secchiello – solo la testa bagnata rivela inesorabile un notevole diradarsi della chioma, a contrappasso berlusconiano, non essendo questi tempi berlusconiani di gran contrappasso. Italo ci ha provato – ha innalzato le copertine, moltiplicato le chiacchiere, azionato l'altrui risentimento. E' l'ultimo eroe di una stagione che si chiude. Come l'innocente “mostro” felliniano che viene tirato a riva nell'ultima scena della “Dolce Vita” – e ne sigilla la fine e la futilità, così Bocchino (ultimo sirenetto di un'era di sirenetti e mostri marini, sirenette e streghe con la mela avvelenata, pesci di ogni mare, protagonisti alle vongole, tronisti e topolone) ha posto termine a un'intera era – il Romolo Augustolo, l'ultimo di una stirpe illustre,  dei giorni che furono. E se la rutilante estate di Italo si presta quale perfetta icona, la sentenza scritta l'ha emessa Giuliano Amato, perfetto notaio – quando ha scandito: “C'è troppa Sardegna nella politica italiana degli ultimi dieci anni”, e subito si è capito dove si andava a parare, non al mirto o ai Mamutones – piuttosto là dove gommoni stracarichi di fanciulle, con intensità da sbarco di Normandia, via mare e pure via cielo, smandrappate e angeliche creature cingevano d'assedio la Certosa non proprio monacale del Cav. e boom! boom!, danze lascive e vulcani che esplodevano e gelatino per tutte e per ognuna – crema e pistacchio, il presidente gelataio. Che ora si lamenta e si lagna per la mancata attivazione di una fontanella, che hanno a patirne i cactus e l'orgoglio – e ove fu grandezza da kolossal di Cecil B. De Mille è fiorire e mestizia di beghe dal sapore quasi pretorile, “perfezionamento della natura naturans in natura naturata” – ecco, così.

    Si tacciano, dunque, i vulcani e i chitarristi i barzellettieri, si fermino gli assembramenti, si prenda apposita espressione – da condolente, con il resto della dolente popolazione. E così, ecco il Cav. – che se ne andava, ultimamente, paffuto e satollo, a misura di pacco postale – infliggersi dura dieta di tisane e beveraggi, manco un sanbittèr che fosse uno, così da apparire trionfante e smagrito, quattro chili in otto giorni! (manco De Niro dopo aver finito di girare “Toro scatenato”, in realtà più evocativo di un film di Renato Pozzetto, “Sette chili in sette giorni”): casomai prendessero, nel parapiglia generale, a misura della casta la misura della circonferenza presidenziale. E ogni cosa che gettava i suoi bagliori di Dolce Vita politica pare ora da rinnegare e più ancora da rinfacciare: il treno del ministro Fitto, che s'inerpica verso nord, e che dalle cronache pare uscire suntuoso e misterioso come l'Orient Express di Agatha Christie, le posate della Camera (“Si mangiano pure le posate”, titola Libero, a riprova dello stomaco di ferro, oltre che della faccia di bronzo degli eletti nostri). E i giorni che s'avvicinano – nel precipitare dentro il tramonto berlusconiano – saranno giorni di magra e di penitenza, ove pure i pantagruelici che sperano di salvarsi si faranno dolciniani, e così chi il petto per il Cav. offrì, come Libero, e chi il petto del Cav. cercò di colpire, come il Fatto, ora duettano a chi più forte ringhia a disdoro di casta e di privilegiati. E in realtà, dove il giornale di Travaglio s'avvinghia alla trama delle ferie dei potenti – con paginate di foto riciclate dalle apposite riviste gossipare: “Ma che casta estate” – esattamente là è la riprova della presente mestizia estiva: quel fenomenale Schifani che s'avanza sulla spiaggia con la scorta, una mesta processione che manco come prova per quella di santa Rosalia;  Nitto Palma adagiato lungo un arenile toscano, dopo aver inutilmente ingaggiato eroica battaglia per salvare le ferie tropicali, con le faticose Mille Miglia raggiunte e con il gravoso compito ministeriale disdette, il solito D'Alema sulla solita barca, il solito Prodi al solito mare (persino la didascalia niente, ma proprio niente permetteva: “Prodi: stessa spiaggia, stessa moglie”, e che, doveva presentarsi con Pamela Anderson?), Formigoni a petto nudo (che fa comunque meno impressione che vestito con le sue innovative camiciole floreali), qualche avanzaticcio da Cortina. Una mestizia che fa lacrimare il cor. E a proposito di cor: il Corriere, di sobrietà sempre vestito, con il direttore Ferruccio de Bortoli che, come scrive Lettera43, “da quando ha scoperto Twitter mena fendenti”, e perciò tra un Monti e un Panebianco lancia la personale proposta anticasta: “Chiudere i ristoranti di Camera e Senato e dare ticket agli onorevoli” – e per portarsi avanti con le masse, il senatore del Pd Vincenzo Vita già informa che “non sono un assiduo frequentatore, preferisco la buvette perché vado di fretta”. Potrebbero persino prodursi, nel futuro che rigore impone e sobrietà chiama, immagini come quella di Aldo Moro: sulla spiaggia di Terracina, in giacca e cravatta – ma quello era Moro, e onestamente Ignazio La Russa così combinato, allungato su una sdraio, non sarebbe altrettanto suggestivo. E un grande esperto di quel sublime cazzeggio che arrancava dagli arenili alle meglio botteghe di barbiere, come Alfonso Signorini, ha ben sintetizzato la situazione: “Il gossip è lo specchio della società. E' un'estate sottotono… Le veline si tengono strette i loro calciatori…” – che è un po' come l'oro che diventa bene rifugio quando la crisi mondiale impazza.
    I siti dei movimenti sono già allertati, “la dolce vita dei politici e dei loro servi giornalisti sta per finire”, i pentimenti debbono arrivare prima della prossima vendemmia, gli adeguamenti siano immediati e persuasivi. Perché ormai dalla teoria si passa all'azione. E così hanno sbevazzato al Billionaire per 86 mila euro senza saldare il conto (ma che bisogna fare per bersi 86 mila euro, prosciugare il mar Tirreno?), finti russi o russi veri che facevano i finti miliardari o miliardari veri che facevano i russi spiantati: sorta di esproprio proletario (la Grande Proletaria s'attacca alla bottiglia prima di mettersi in moto) a un ritrovo che più simbolico della Dolce Vita che va a morire non si può – e che qui definitivamente si saluta. Le mille tentazioni che pure la cronaca ancora offre non saranno quasi sicuramente raccolte. Ci furono giorni dove qualche snaturato avrebbe fatto di tutto per trascinar via o riprodurre in copia il sobrio divanone gheddaffiano – da intendersi in parallelo col mitico lettone putiniano – corpo dorato di femmina con chioma al vento, così da capire che hai voglia a fare bunga bunga, sempre un passo indietro si resta. Sobrietà, sobrietà. Che come titola la Bbc News, “La dolce vita diventa amara per Berlusconi”, e ci finisce di mezzo pure Tiberio imputtanito e vizioso in quel di Capri – che a Capri il vizio può venir facile, ad Arcore sempre più impegno occorre. Né troppe tette al vento, mediaticamente parlando, in questa estate che avvia l'autunno del ripensamento, né nessun pisello in pubblica esposizione sulle pagine delle riviste, come pure successe in anni passati, da quello di LCdM, che suscitò parecchia curiosità e unanime ammirazione a motivo di visibile  estensione, a quello di Casini – pur scrutato, certo non sottovalutato, anche se il Cav., in quella torrida estate, lo incoraggiò  lodando soprattutto il posteriore (il democristiano di più pregevole conio in circolazione fu colpito su entrambi i fronti), più o meno: “Hai un bel culo…” – e chissà se la rottura lì maturò, se Pierferdy, diononvoglia!, male intese una possibile metafora. Ma adesso, al più, un bikini di Lorenza Lei, e LCdM che s'avanza in gran forma sulla spiaggia, in compostissimo boxer grigio antracite (saranno allegati al doppiopetto?): immagini che un messaggio trasmettono, quasi una sua personale maoista nuotata nel Fiume Giallo a riprova di adeguata muscolatura quale indicazione all'Italia presente e sostegno all'Italia Futura.

    E se il ridotto padano si mostra ingrato a Bossi, se la Costa Smeralda è svuotata di languori e orba dell'imperdibile Cav. in camicia nera e giacca bianca come il Tony Manero del dolce vivere e della rivoluzione liberale prossima futura, se ci sono contestazioni anche per il busto dedicato allo zio di Gianni Letta, ex prefetto fascista – resta da domandarsi perché non lo abbiano fatto direttamente e meritatamente a Letta nipote: tra i pochi che forse, quando verranno abbattute le statue, potrebbe restare al suo posto. E al tramonto della Dolce Vita che è stata, ligi in anticipo alle disposizioni future, qui al Foglio c'è l'impegno a non replicare la serie “La Dolce Vita della politica” che un'era accompagnò e che quest'era oggi saluta per sempre. Ma fortuna che fino all'ultimo c'è stato, e con onore, Bocchino: il suo salto nel fuoco, tra le belve del gossip, lascia una certa nostalgia e nell'orizzonte un ultimo bagliore.