La Sagrada Familia a Barcellona (foto LaPresse)

La scristianizzazione della Spagna

Giulio Meotti

In pochi anni uno dei paesi più cattolici si è scristianizzato. “Il nichilismo morbido ha trionfato”. Interviste

España ha dejado de ser católica, la Spagna ha smesso di essere cattolica, annunciò negli anni Trenta l’allora leader repubblicano Manuel Azaña Díaz. España ha dejado de ser católica, sembra ripetere ora l’ultimo rapporto del Centro de Investigaciones Sociológicas. “Per la prima volta ci sono più atei che cattolici praticanti”. Parlando con la rivista Claves de razón práctica, l’allora premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero definì una “reliquia ideologica” l’idea che la chiesa cattolica potesse ancora avere un qualche peso nella vita pubblica spagnola. Da allora, tutti i grandi riti cattolici sono diventati delle reliquie (battesimi, comunioni e matrimoni). Secondo i dati della Conferenza episcopale spagnola, se nel 2007 si sono tenuti 325.271 battesimi, nell’ultimo anno sono stati 214.271. Allo stesso modo, assicura un altro rapporto della Fondazione Ferrer i Guardia, l’80 per cento dei matrimoni è già celebrato dal diritto civile (in Catalogna si arriva al 90,9 per cento). Una realtà che, secondo l’autore dell’inchiesta Josep Mañé, peggiorerà, perché “oltre il cinquanta per cento delle persone tra i 18 e i 24 anni si dichiara non cattolico”. Oggi il paese presenta un enorme balzo statistico tra coloro che sono stati cresciuti come cattolici (92 per cento) e che ora si dicono tali (66 per cento). Una differenza di oltre dodici milioni di persone, “la più grande in Europa in termini assoluti”. La popolazione spagnola sta abbandonando la chiesa. Già oggi, la metà dei bambini non è battezzata. O almeno, non più in chiesa. Perché il Consiglio comunale di Getafe, guidato dai socialisti, ha iniziato a celebrare i “battesimi civili”. La giunta di Sara Hernández, sostenuta da Podemos, ha varato la “Carta comunale di cittadinanza del ragazzo e della ragazza”, una specie di battesimo laico post cristiano.

 

“La chiesa muore lentamente in Europa e, come in altri paesi, quella spagnola è entrata nel suo ciclo finale”, scriveva a maggio El País. Un fenomeno non certo soltanto spagnolo. “Ma in Spagna è stato molto veloce perché è iniziato più tardi, qui è successo in soli venti anni, mentre in altri paesi, come la Francia, la secolarizzazione è stata più lenta e più lunga”, spiegano i sociologi delle religioni. Secondo un sondaggio della società Gallup International, la Spagna si colloca al sedicesimo posto tra gli stati meno religiosi del mondo (in testa c’è la Cina).

 

La Spagna è il paese in Europa con il più alto tasso di abbandono della chiesa. In alcuni comuni si celebra il “battesimo laico”

Nel suo ultimo libro, “A la caza del voto católico”, Francisco Serrano Oceja scrive che “il cattolicesimo in Spagna è entrato in una dinamica di marginalità, non c’è stata alcuna priorità nel ripensare il cambiamento sociale, nell’affrontare la società liquida, e i cattolici in Spagna si sono addormentati nell’anestesia”. “Non è odio alla chiesa, ma abbandono, ‘questo non è più per me, non mi serve’”, dice al Foglio Daniel Arasa, saggista, columnist de La Vanguardia e autore di diversi volumi sulla storia spagnola e sulla Guerra civile. “Nelle chiese nelle nostre città poche persone partecipano alla messa e, per la maggior parte, sono anziani. Le vocazioni sono basse, come i matrimoni. Insomma, una caduta spettacolare. Non si verifica solo in Spagna, anche se la Catalogna è più scristianizzata, ma è un fenomeno generale in tutta l’Europa occidentale. Qui il crollo è vertiginoso, perché parliamo di una ventina di anni, in cui una enorme quantità di persone ha lasciato la chiesa”. Arasa denuncia la “derisione culturale” e la “fobia cristiana” della società. “Il cristiano è fastidioso perché non si conforma all’edonismo e al relativismo prevalente”. E’ una “persecuzione persistente e sibillina, un mobbing per rimuoverli da qualsiasi presenza pubblica, zittirli, eliminarne i simboli e la nomenclatura religiosa di strade o scuole. Alcuni concludono che tra qualche anno ci saranno solo nuclei marginali di cristiani. C’è chi parla di post cristianesimo”.

 

Dipendiamo da poche minoranze morali e intellettuali. Il tempo della mobilitazione sociale è passato, forse per sempre

Molte le cause. “Un aspetto molto importante della Guerra civile spagnola fu la persecuzione religiosa dei cattolici. Quarant’anni fa all’origine ci fu poi l’antifranchismo, l’unione della politica e della religione. Poi abbiamo avuto una parte del clero che parlava più di politica che di religione. Poi con Zapatero c’è stata una rivoluzione direttamente ostile al cristianesimo e una parte importante della popolazione ha fatto una scelta anticattolica. Una forma di laicismo puro ha conquistato la società. In oriente abbiamo una persecuzione violenta, in occidente una persecuzione anticristiana che è una forma di mobbing ideologico. Mentre nei paesi in cui vi è una esplicita persecuzione religiosa è come se avessero un cancro grave, in occidente è come chi soffre di fibromialgia, che non uccide ma fa vivere male le persone. La politica anticristiana di Zapatero di costante confronto con la chiesa ha contribuito all’intolleranza religiosa. Zapatero cercava un nemico e lo trovò nella chiesa fino al punto di trasformare in sinonimo di arcaico tutto ciò che riguardava la religione. L’Europa ha intanto rifiutato di conservare le proprie radici. Cosa direbbero oggi leader come Schumann, Monnet, De Gasperi, Adenauer? Non è stato nemmeno accettato che la Costituzione europea alludesse alle radici cristiane dell’Europa, in parte perché il presidente francese Valery Giscard d’Estaing ha obiettato. Ma coloro che perdono le proprie radici difficilmente possono fare grandi cose. L’Europa oggi è simile all’Impero romano dell’ultima fase. E’ una società edonista, in cui le persone hanno perso il senso della vita e non hanno né valori per cui lottare né ragioni per farlo. Vive solo del proprio retaggio storico”.

 

Ma anche la chiesa spagnola appare assente dal campo di battaglia e l’unico cardinale che si ricordi impegnato sulla secolarizzazione è Antonio María Rouco Varela. “La chiesa non è stata brava a parlare alla società, soltanto quattro-cinque vescovi sono stati all’altezza della sfida, tutti hanno parlato in politicamente corretto” continua Arasa. “I preti in Catalogna oggi parlano solo di politica. La società appare perduta. La famiglia è totalmente frantumata, la natalità è ai minimi storici, siamo allo stadio finale del nichilismo”. Il cattolicesimo spagnolo, che era uno dei più saldi in Europa, appare dunque ancora ancora tramortito dalle guerre ideologiche del settennato di Zapatero.

 

Il vescovo di San Sebastián, José Ignacio Munilla, sintetizza così il progetto zapaterista: “Strangolamento della scuola cattolica, discriminazione in materia di religione, imposizione di un progetto ideologico anticristiano, linciaggio dei vescovi che osano dissentire dal politicamente corretto, criminalizzare sacerdoti e religiosi, accusarli di derubare la gente…”. E a dieci anni di distanza, gli effetti della scristianizzazione si sentono tutti. Ricardo Blázquez, presidente della Conferenza episcopale, ha avvertito: “Se diversi decenni fa l’abbondanza di sacerdoti era straordinaria, attualmente è la scarsità a essere straordinaria”. Negli ultimi dieci anni il numero di seminaristi è diminuito del trenta per cento. Uno studio finanziato dalla chiesa ha dimostrato che, delle 23.286 parrocchie in Spagna, non meno di 10.615 non avevano sacerdoti.

 

Michel Onfray nel suo libro “Decadenza” prende a esempio la più visitata delle chiese di Barcellona, la Sagrada Familia, come simbolo di questo crollo. “Ormai a fine corsa, la nostra Europa giudaico-cristiana trova già la propria rovina rappresentata da uno degli edifici più visitati d’Europa: la cattedrale della Sagrada Familia a Barcellona, voluta dall’architetto vitalista Antoni Gaudí nel 1883, l’anno in cui Nietzsche pubblica ‘Così parlò Zaratustra’. Le impalcature che stringono la Sagrada Familia come una protesi di contenimento simbolizzano perfettamente il punto esatto toccato dalla religione cristiana: una secca ontologica”.

 

La Spagna è il terzo paese con il più alto tasso di abbandono del cristianesimo in Europa. In proporzione al numero di abitanti, la caduta in Spagna è la più marcata dopo Norvegia e Belgio. Si stima che nell’ultimo decennio almeno un milione di persone abbia smesso di partecipare alla messa, secondo i dati del Centro de Investigaciones Sociológicas. E i dati potrebbero nascondere una realtà persino peggiore.

“La secolarizzazione è probabilmente ancora più profonda di quanto affermino queste straordinarie statistiche” spiega al Foglio Enrique García-Máiquez, scrittore, poeta, traduttore e giornalista spagnolo. “C’è ancora dell’inerzia pubblica in una società così cattolica, soprattutto per quanto riguarda gli eventi sociali e le feste popolari. Sebbene, fortunatamente, le statistiche e i sondaggi non entrino così in profondità nelle coscienze personali non sappiamo fino a che punto un’embolia della fede persista in molte anime dormienti. Il cattolicesimo ha ereditato dal suo fondatore la sua capacità di risorgere”.

 

“Zapatero cercava un nemico e lo trovò nella chiesa. Una forma di laicismo puro ha conquistato la Spagna”, ci dice Daniel Arasa

Affascina, e rattrista, questa scristianizzazione così rapida. “Per effetti così vasti, molti fattori si sono uniti, ovviamente. Non possiamo disconnettere la Spagna dal resto dell’Europa, dove c’è stata una secolarizzazione brutale. Qui sorprende maggiormente per le sue condizioni storiche di bastione cattolico e per l’intensità del suo processo. Pertanto, oltre alle ragioni universali (forse una perdita di vigore in tutto il mondo cattolico, nella sua dottrina e liturgia), ci saranno ragioni particolari. Tra queste, la Spagna si era fortemente affidata al sostegno istituzionale, sia da parte di uno stato impegnato nella fede sia da parte di una gerarchia cattolica ortodossa. Quei due oggetti di scena iniziarono a vacillare dagli anni Settanta. D’altra parte, il cattolicesimo spagnolo è stato tradizionalmente molto concentrato sull’evangelizzazione. Non solo nella storia; ancora oggi è il paese nel mondo con più missionari, e anche il paese in cui sono stati fondati ordini come la Compagnia di Gesù o l’Opus Dei. Molti cattolici impegnati hanno lasciato la Spagna in una continua e silenziosa fuga delle anime. Inoltre esiste una dimensione culturale. Forse in Spagna non c’è stata alcuna articolazione di una chiara risposta intellettuale cattolica come in Francia. In larga misura a causa di quella fiducia in un rifugio istituzionale che, in effetti, ci manca da molto tempo. L’erosione intellettuale avrebbe rafforzato maggiormente muscoli e caratteri. Oggi ci sono scrittori e pensatori cattolici di importanza e qualità, ma difficilmente sono dei ‘cecchini’. Nella destra politica c’è un vivo disinteresse e in parte della gerarchia una profonda sfiducia”.

 

García-Máiquez incrimina non soltanto Zapatero, ma anche il Partito Popolare. “Zapatero ha rilevato una precedente debolezza che veniva da lontano, un’erba facile per la demagogia progressista, e ne ha approfittato fino alle estreme conseguenze. E’ interessante notare che è stata l’ultima (per ora) occasione mancata del cattolicesimo sociale spagnolo. Ha generato una potente risposta in strada. La destra politica ha fatto del suo meglio per capitalizzarla e, in termini elettorali, ha fatto bene. Tuttavia, dopo la sua maggioranza assoluta, ha tradito sistematicamente tutte le sue promesse e allo stesso tempo ha abbandonato la reazione civile. Per comprendere l’importanza secolarizzatrice di quegli anni dobbiamo parlare di Zapatero-Rajoy. Infine, ma ancora più importante, non dimentichiamo la mancanza di identità cattolica (e persino semplicemente religiosa) della chiesa stessa. Al momento potremmo dipendere dalla capacità di quelle minoranze intellettuali e morali che rimangono. Il tempo della grande reazione sociale è forse passato”.

 

Per Enrique García-Máiquez, “c’è ancora una inerzia cattolica nelle feste popolari. E Rajoy non è stato meglio di Zapatero”

Movida e nichilismo? “E’ un tandem ben diagnosticato: da un lato la movida nel suo senso più ampio, la routine di un edonismo trasversale; e, d’altra parte, il nichilismo, lo sfondo filosofico senza fondo” conclude parlando col Foglio García-Máiquez. “E’ un circolo vizioso: il welfare state e la società del piacere hanno finito per creare un ambiente molto materialista che soffoca le esigenze dello spirito. Su questo terreno fertile, un nichilismo morbido è imposto come una filosofia predefinita che non sbocca nella disperazione proprio perché la movida continua a fornirci piaceri, distrazioni e realtà virtuali. Entrambe convergono, in effetti, nel preoccupante declino delle nascite. Dalle concezioni nichiliste è impossibile apprezzare l’immenso dono della vita; dall’edonismo pratico, quasi nessuno vede più i sacrifici nell’avventura della paternità. Oltre ai gravissimi problemi sociali, economici e politici che comporta il suicidio demografico, è un sintomo di una società che ha perso l’energia e l’amore che sarebbero sorti dalle radici cristiane”.

E’ come se nell’ottimismo panglossiano spagnolo, dove ogni dilemma trova la sua allegra soluzione almodovariana, emancipatrice e colorata, non ci fosse più posto per una reliquia come il cristianesimo.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.