Un gruppo di giovani che parteciperà al Sinodo in piazza San Pietro per l'Angelus, lo scorso agosto. Foto LaPresse

Benvenuti al Sinodo

Matteo Matzuzzi

Il Papa apre l’assemblea sui giovani raccomandando di pregare perché il Diavolo se ne stia lontano

Roma. Dopo le violente battaglie tra padri sinodali andate in scena nel biennio 2014-2015, tutto lasciava pensare che stavolta, per l’Assemblea ordinaria che si aprirà oggi e andrà avanti per ben venticinque giorni (chiusura il 28 ottobre, con in mezzo le canonizzazioni tra gli altri di Paolo VI e Oscar Romero), di dispute virulente se ne sarebbero viste poche. Il tema scelto, dopotutto, non è di quelli divisivi: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Titolo talmente generico che non pareva essere in grado di provocare tenzoni teologiche o conte all’ultimo voto come visto tre anni fa.

  

Il contesto però è drammatico: la chiesa è divisa in linee di faglia che anziché avvicinarsi sono sempre più lontane, con vescovi l’uno contro l’altro, panni lavati in pubblico anziché in famiglia, cardinali che si schierano a difesa del Pontefice e cardinali che manifestamente sfidano il successore di Pietro. Il Papa, con un gesto che ha pochi precedenti e che richiama il “fumo di Satana” visto da Paolo VI entrare nei sacri palazzi, invita tutti a recitare ogni giorno il Rosario e la preghiera scritta di getto da Leone XIII per scacciare il diavolo che attenta all’unità della chiesa di Cristo. La piaga della pedofilia si fa più larga, con le inchieste al di qua e al di là dell’oceano che promettono rivelazioni pressoché quotidiane. Liste di vescovi da mettere in ceppi perché sospettati d’aver coperto abusatori seriali, porporati da esiliare in isolate case di riposo dopo aver trascorso decenni a ospitare aitanti seminaristi in ville in riva all’oceano, forse costringendoli a un do ut des che prevedeva la condivisione del letto in cambio di formidabili carriere clericali. La convocazione in Vaticano per il prossimo febbraio di tutti i presidenti delle Conferenze episcopali per discutere che fare, come riuscire a “eliminare tutto il pus” – per usare una espressione dell’arcivescovo-medico di Parigi, mons. Michel Aupetit – è un ulteriore carico da novanta sulla crisi già devastante, come non fossero bastate le commissioni create ex novo per far fronte al problema. Senza dimenticare i dossier con accuse esplicite alla corte curiale di essere complice delle coperture che si concludono con vescovi che chiedono al Pontefice – fino a prova contraria vicario di Cristo in terra – di rassegnare le dimissioni alla stregua di un ceo aziendale.

   

In questo scenario da tregenda, per un mese scarso i reverendi padri discuteranno di fede, giovani e discernimento. Il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo, difende l’Instrumentum laboris, si scaglia – senza mai citarlo, ma l’hanno capito tutti – contro l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput, che anche su questo giornale sabato ha detto che nello schema preparatorio c’è tanta sociologia ma ben poca fede e parecchia confusione. Tra gli invitati, dopotutto, c’è anche fratel Enzo Bianchi, priore emerito di Bose, che scrive e sostiene che Gesù è stato “un profeta”; concetto simile a quello espresso anni fa da Paolo Flores d’Arcais – “Gesù fu un profeta ebreo itinerante” – che però al Sinodo non ci va. Baldisseri respinge l’accusa, ma più che entrare nel merito delle obiezioni sollevate dal Chaput, domanda ai giornalisti perché l’arcivescovo di Philadelphia non si sia opposto all’Instrumentum durante le riunioni in Vaticano: come se in questi anni le opposizioni alle metodologie sinodali avessero avuto qualche ascolto, basti ricordare come fu gestita la pubblicazione dei vota all’ultima tornata e il caso della relatio post disceptationem che il cardinale Péter Erdo lesse nell’Aula nuova e poi in sala stampa disse che di suo, in quelle righe, non c’era neanche mezza parola.

  

Il cardinale Christoph Schönborn, a due giorni dal Sinodo rilancia l’ordinazione diaconale delle donne, tanto per aggiungere altra carne al fuoco e confusione a un’agenda già di per sé complicata e confusa, dove al tema dell’assemblea si affastella la gioia per l’arrivo di due vescovi cinesi dopo la firma dell’accordo, la preoccupazione per le mosse eventuali di qualche procuratore americano, le beghe tra prelati statunitensi ormai alla resa dei conti definitiva. Venticinque giorni in cui si discuterà – citando qualche spunto tratto dall’Instrumentum – di alleanze intergenerazionali, nuove schiavitù, scuola e università, morale cattolica, vita online, realtà digitali, affettività, sessualità. Alla fine del Sinodo, secondo il cardinale Baldisseri, dovrebbe emergere un “rinnovato dinamismo giovanile” che rilanci in qualche modo la proposta cristiana a generazioni che – soprattutto in determinate aree del pianeta, quelle dove alla secolarizzazione si sta rapidamente sostituendo la scristianizzazione – ignorano Cristo ancor più del cristianesimo. La missione è improba e le distrazioni sopra elencate non aiutano di certo a rendere virtuoso il cammino verso l’obiettivo preposto. Il rischio di una replica dello spettacolo andato in scena tra il 2014 e il 2015 è alto. Spetterà ai padri decidere se tenere calme le acque affinché la Barca non finisca di nuovo nella tempesta.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.