Verso l'accordo tra il Vaticano e la Cina. Stavolta pare essere la volta buona

Matteo Matzuzzi

Il Global Times, organo semi ufficiale del Partito comunista di Pechino parla di negoziato in dirittura d'arrivo. Resta ancora qualche dubbio, ma il Papa ha già detto come la pensa

Roma. Quando di mezzo c'è la Cina la prudenza è d'obbligo, ma pare che il negoziato tra Pechino e la Santa Sede, che tra alti e bassi va avanti da anni, sia a un punto di svolta. Il segnale è dato dal Global Times, organo semi ufficiale del Partito comunista cinese, che in un breve articolo pubblicato il 18 settembre ha parlato di “possibile accordo sui vescovi”. Il che confermerebbe quanto scriveva una settimana fa il Wall Street Journal. Già dalle parole messe nero su bianco dal Global Times è possibile fare chiarezza su un punto: l'accordo, se mai ci sarà, sarà esclusivamente sulle nomine episcopali. Nessun trattato diplomatico è in vista.

 

In ogni caso, si tratterebbe di un enorme passo avanti che porrebbe fine, almeno sulla carta, alla divisione tra la chiesa ufficiale controllata dallo stato e quella clandestina, con i vescovi “romani” non riconosciuti dal governo. “Non ci sono discussioni su questioni di principio” tra le parti, scrive il Global Times, che dà anche un riferimento temporale per la stretta di mano: fine settembre, quando una delegazione vaticana si recherà in Cina. “Se il vertice andrà bene, l'accordo sarà siglato”. Le conferme, anonime data l'estrema delicatezza del dossier, arrivano da entrambe le parti.

 

L'articolo del quotidiano comunista merita di essere letto paragrafo per paragrafo, rappresentando quasi un memorandum-guida all'annunciato vertice. “Prima di firmare l'accordo, la Santa Sede consegnerebbe un documento ufficiale con cui riconosce sette vescovi cinesi considerati illegittimi dal Vaticano, inclusi alcuni che in precedenza erano stati scomunicati”. Scomuniche che Pechino considera “un affronto”, ha detto Wang Meixiu, docente di Studi cattolici all'Accademia cinese di Scienze sociali. “Il riconoscimento dei vescovi mostrerebbe la comprensione del Vaticano per la situazione religiosa cinese”, ha aggiunto. La politica dei piccoli passi, insomma, per venirsi incontro.

 

A ogni modo, sono necessarie “ulteriori discussioni” per definire i termini dell'accordo. Il Global Times offre anche uno spaccato numerico del cattolicesimo cinese: sei milioni e mezzo di fedeli, settemila sacerdoti, seimila chiese. La fonte è l'Associazione patriottica cattolica, quindi a tali cifre vanno sommate quelle della chiesa sotterranea in comunione con il Papa. Il patto che si va delineando prevede comunque che il governo possa dire la sua sulla scelta dei vescovi da assegnare alle diocesi, anche se l'ultima parola – quella definitiva – dovrebbe restare al vescovo di Roma. Negli anni scorsi si era parlato di una terna proposta dalle autorità locali con decisione affidata al Pontefice. Si vedrà, non è neppure detto che l'accordo sarà pubblicato.

 

Molto scettico è Bernardo Cervellera, il direttore di AsiaNews, rivista online del Pontificio Istituto per le missioni estere: “Da almeno tre anni giornalisti italiani e vaticanisti danno l'annuncio che l'accordo fra Cina e Vaticano sta per essere firmato. Si è parlato – citando sempre persone anonime, ma 'con le mani in pasta sul dossier vaticano-cinese' – del novembre 2016, alla fine dell'Anno della misericordia; poi della fine del 2016; poi del giugno 2017; poi del marzo scorso e ora della fine di settembre. E finora non è successo nulla”. La questione fondamentale, ha scritto ancora Cervellera, “è se la Cina sia davvero interessata a questo accordo. In passato, autorevoli commentatori hanno attribuito le ragioni del ritardo alle divisioni fra i cattolici in Cina e nel mondo. Il realtà, il punto è che le divisioni sono all'interno dello stesso Politburo”, con il ministero degli Esteri favorevole all'accordo e l'asse stabilito tra il ministero degli Affari religiosi e l'Associazione patriottica contrario.

 

Questi ultimi organismi, infatti, prosegue il direttore di AsiaNews, “governano la vita quotidiana delle comunità cristiane, arricchendosi con i loro controlli e gli espropri delle proprietà della chiesa. Per essi qualunque spazio dato ai rapporti con il Vaticano rappresenta una riduzione del loro potere assoluto”. Il Papa la sua opinione in merito l'ha già data in una lunga intervista alla Reuters dello scorso giugno: “Siamo a buon punto. I cinesi meritano il premio Nobel della pazienza, perché sono bravi, sanno aspettare, il tempo è loro e hanno secoli di cultura; è un popolo saggio, molto saggio. Io rispetto tanto la Cina”. Quanto alle critiche del cardinale Joseph Zen, da sempre contrario a ogni appeasement con Pechino, Francesco aveva detto: “Penso che è un po’ spaventato. Anche l’età forse influisce un po’. E' un uomo buono. E' venuto a parlare con me, l’ho ricevuto, ma è un po’ spaventato. Il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare. Per quanto riguarda i tempi, qualcuno dice sono i tempi cinesi. Io dico che sono i tempi di Dio, avanti, tranquilli”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.