Anders Arborelius nel 2015 (Elaborazione grafica Il Foglio da foto Wikimedia)

“Noi cattolici svedesi un po' esotici diamo speranza all'Europa postmoderna”

Matteo Matzuzzi

Intervista al cardinale Arborelius, ospite del Meeting di Rimini

Rimini. Anders Arborelius, cardinale vescovo di Stoccolma è uomo di periferia. “Siamo tollerati perché esotici”, diceva qualche tempo fa commentando divertito la situazione dei cattolici in Svezia, enclave ridotta e minoranza tra le minoranze. Battezzato luterano, a vent’anni la decisione di convertirsi dopo aver conosciuto una comunità di suore brigidine: “Cosa ho visto in loro? Cristo”. Ieri pomeriggio, al Meeting di Rimini, ha raccontato come possano gli “esotici” cattolici svedesi portare speranza nell’Europa ipersecolarizzata che pare aver perso un po’ dovunque punti che un tempo si credevano fermi ed eterni. Cosa vuol dire essere chiesa di periferia? “Dipende dal punto d’osservazione che si sceglie per guardare la situazione”, dice conversando con il Foglio. “Nel nostro caso, qui in Svezia, essere chiesa di periferia significa essere un piccolo gruppo di cattolici attivi in una società laica e pluralista. Noi, poi, siamo anche una chiesa locale di periferia all’interno della chiesa cattolica universale”.

  

Che fare allora? “Possiamo provare ad aiutare i nostri uomini e le nostre donne a essere veri testimoni di Cristo nella loro realtà quotidiana ordinaria. Ognuno ha il compito di portare l’amore e la verità di Cristo alle persone che ci circondano”. Compito arduo, dato il contesto nordeuropeo. Arborelius, zucchetto rosso in testa e abito carmelitano, sorride e parla di speranza, “elemento fondamentale nella società secolarizzata”. La speranza che, “come diceva Charles Péguy, è la piccola sorella della carità e della fede. Di queste ultime due si parla spesso, della prima un po’ di meno, ed è un peccato. Noi siamo un piccolo gregge che vuole portare questo messaggio di speranza alle altre chiese d’Europa. Una comunità ridotta che vive in un mondo che ormai è post luterano, post moderno e perfino post secolarizzato”.

 

“Noi – aggiunge il vescovo di Stoccolma – viviamo in un tempo di confusione, in cui le persone non sanno cosa pensare o credere. La voce profetica della chiesa è allora più che mai necessaria per ricordare alla gente che ogni essere umano è creato a immagine di Dio e invitato a essere trasformato dalla sua grazia in Cristo”. Fa presa, a quelle latitudini, tale profezia? “Abbiamo aperto una piccola finestra al mistero, a Dio. Grazie anche alle migrazioni – l’80 per cento dei cattolici sono immigrati di prima o seconda generazione –, la chiesa cattolica in Svezia si è ripresa, stiamo facendo capire che la religione è una realtà oggi e non qualcosa di vecchio, relegato al medioevo. Riusciamo a vivere il mistero della Pentecoste ogni giorno, in ogni parrocchia, attraverso l’incontro”. Dal palco del Meeting, il cardinale chiarisce subito che anche la sua Svezia non è più l’Eden: “Papa Francesco parla bene e giustamente dell’accoglienza nel mio paese, ma anche in Svezia la politica è cambiata e sta chiudendo le sue porte ai migranti”, come si vede in altre realtà del continente.

   

Mons. Arborelius parla di un’Europa dove la fede non è più una cosa certa, scontata, evidente, ma non si scoraggia. Ricorda quanto disse negli anni Sessanta, in una serie di conferenze alla radio, l’allora professore Joseph Ratzinger, che parlò di una chiesa destinata a essere di minoranza, profetizzando un ritorno alle origini: pochi “seguaci” ma ancor più consapevoli dell’oggetto della loro fede, magari irrisi dall’occhio sprezzante del mondo. “C’è una buona dose di verità in questa profezia del futuro Benedetto XVI”, dice il vescovo di Stoccolma: “In così tante parti d’Europa la chiesa è ridotta a frammenti, ma se la provvidenza di Dio vuole questo, noi siamo chiamati ad adattarci alla realtà e diventare un piccolo lievito profetico ed evangelico. Dobbiamo portare il sale nel nostro mondo di oggi”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.