Foto Nasa

Oceano cosmico

Giuseppe Perconte Licatese

Gli esopianeti e la possibilità che ci sia altra vita nell’universo. Una mostra al Meeting di Rimini

Rimini. All’ingresso dell’Area Exoplanets del Meeting di Rimini – gli esopianeti sono i corpi celesti esterni al nostro sistema solare che i più avanzati telescopi sono oggi in grado di studiare – uno dei pannelli cita sant’Alberto Magno (XIII secolo), secondo il quale chiedersi se esistono molti mondi, oppure uno solo, era una delle questioni “più nobili ed esaltanti nello studio della natura”. Sulle magliette dei volontari che si muovono tra le riproduzioni di sonde, telescopi e modelli di sistemi extra-solari c’è invece un virgolettato di Carl Sagan, uno dei visionari divulgatori della ricerca spaziale del secolo scorso. Per Sagan la superficie terrestre non era che “la riva dell’oceano cosmico”, ed era arrivata l’ora che l’uomo cominciasse a inoltrarvisi. Le sue domande sono anche quelle che più richiamano i visitatori da queste parti: se l’esplorazione del cosmo possa aiutare a comprendere le origini della vita, e se si dia vita, magari intelligente, altrove.

  

Rintracciate certe condizioni chimiche e fisiche su un pianeta, la scienza può ritenere possibile che esso ospiti vita organica, e il numero dei pianeti di questo tipo è stimato nello 0,1 per cento del numero totale dei pianeti che calcoliamo esistano. Simona, dottore di ricerca ad Heidelberg e guida della mostra, fa notare che l’uno per mille di un numero a 22 cifre è pur sempre un numero enorme. Eppure, torna in mente quanto è stato detto al Meeting dal direttore dell’osservatorio della Costa Azzurra di Nizza, Alessandro Morbidelli: lo studio dei sistemi extrasolari sembra portare a una “controrivoluzione copernicana”. Invece di dimostrare che la Terra è in fondo solo un pianeta come innumerevoli altri, fa pensare che essa sia davvero privilegiata, di fronte a così tanti corpi celesti che appaiono altrettanti esperimenti non riusciti, rocce troppo fredde o troppo calde, rimaste nel muto regno minerale.

  

Lo studio dei processi che portano alla nascita della vita come la conosciamo – basata sul carbonio – ed eventualmente trovata altrove potrebbe gettare una luce sull’origine della vita terrestre. Ma su questo la scienza ha ben presenti i propri limiti, come ha spiegato in un altro incontro Antonio Lazcano (Università del Messico). La biologia evoluzionistica, a differenza di altre scienze che possono verificare sperimentalmente le proprie ipotesi, è essenzialmente “una disciplina storica”, che accumula le ormai parziali evidenze disponibili (sono passati milioni di anni) e costruisce una narrativa sempre “aperta”. “Noi non sappiamo come si è originata la vita sulla Terra”, per la ragione forse banale che “nessuno era lì al momento della transizione dalla materia inerte alla materia vivente”.

 

Extraterrestri e rivelazione cristiana

Per quanto la narrativa possa affinarsi, poi, l’indagine a un certo punto condurrà nel campo di saperi più vecchi, filosofici. Nelle parole del prof. Giuseppe Tanzella-Nitti – sacerdote, astronomo e teologo, intervenuto al Meeting giovedì – tutti i possibili “scenari dell’inizio” proposti dagli scienziati mettono insieme solo una serie di fattori necessari a produrre la vita, ma non sono ancora “l’origine”. La guida della mostra usava questa immagine: conosciamo alcuni ingredienti e le pentole, ma non la ricetta (né il cuoco). La scienza conosce i fattori e la loro interazione, ma non può accedere a ciò che ha innescato il tutto. Alla domanda sull’origine risponde, nel caso di Tanzella-Nitti, la teologia, che parla dell’intenzionalità della creazione, della volontà di Dio di porre in essere l’universo. La teologia e la fede dicono che non c’è qualcosa, ma Qualcuno al fondamento del mondo.

  

Tanzella-Nitti ha anche discusso la compatibilità delle ipotesi sulla vita extraterrestre con la rivelazione cristiana. Alcuni ritengono che un eventuale incontro con “gli alieni” darebbe un colpo fatale alle concezioni religiose tradizionali. Può darsi che sottovalutino la convinzione dei gesuiti: alla libreria del Meeting spicca un dialogo dei confratelli Guy Consolmagno e Paul Mueller dal titolo “Battezzeresti un alieno?” (Rizzoli). E’ la domanda che Consolmagno si è sentito più spesso fare nei suoi incontri pubblici su scienza e fede, alla quale puntualmente ha risposto: “solo se lui me lo chiedesse!” L’ironia è un modo per replicare a domande che anche Tanzella-Nitti considera mal poste. In definitiva, la teologia non può essere chiamata a pronunciarsi su ipotesi così lontane dal mondo della nostra esperienza. Ciò non toglie che, nell’eventualità, l’incontro con esseri razionali come noi non toccherebbe i contenuti del Credo: anche essi sarebbero creature di Dio, e le grandi questioni esistenziali rimarrebbero immutate: il dolore, la sofferenza dell’innocente, la morte, la speranza della resurrezione. D’altra parte, allo stato delle conoscenze scientifiche, l’idea classica della unicità della vita umana nel cosmo non è diventata “né ingenua né antiscientifica”.

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