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La purga cilena di Papa Francesco

Matteo Matzuzzi

Inizia in Cile il repulisti del Pontefice. Fuori tre vescovi tra cui Barros e nessun successore (per ora)

Roma. Trentuno vescovi cileni, su invito del Papa, avevano rimesso il loro mandato a metà maggio, al termine della tre-giorni di confronto in Vaticano sullo stato della chiesa nel paese latinoamericano, squassata da torbide storie di abusi sessuali su minori, di coperture, di reti di preti conviventi con altri preti. Lunedì, Francesco ha iniziato l’annunciata operazione di spoils system – altri direbbero di ricostruzione – della gerarchia. Di trentuno lettere di dimissioni ne sono state accolte (per ora) tre, fra cui spicca quella di mons. Juan Barros, vescovo di Osorno considerato la pietra dello scandalo, il discepolo del pedofilo Fernando Karadima che avrebbe visto quel che il suo mentore faceva senza fare nulla per fermarlo. Passò alle cronache per essere stato quasi linciato durante la messa per la presa di possesso della diocesi, con fedeli infervorati che tentarono di strappargli la mitra dal capo. Barros però era difeso dal Papa, che per ben due volte aveva respinto le dimissioni e che durante il viaggio dello scorso gennaio in Cile aveva affrontato i giornalisti per dire che sul conto del vescovo di Osorno non c’era una prova che fosse colpevole di qualcosa, ma solo “calunnie”. Poi c’è sta la missione dell’inviato speciale Charles Scicluna, gli incontri con le vittime, i dossier, i verbali e la situazione si è capovolta. Evidentemente le prove c’erano se è vero che la prima testa a cadere è proprio quella di Barros. Insieme a lui, lasciano l’arcivescovo di Puerto Montt, mons. Cristián Caro Cordero, e di Valparaíso – la seconda diocesi del paese per numero di fedeli –, mons. Gonzalo Duarte García de Cortázar. Entrambi, questi ultimi due, settantacinquenni e quindi in età da pensionamento (Barros, invece, di anni ne ha solo 61). In tutti e tre i casi, il Papa non ha nominato un successore, lasciando le sedi episcopali vacanti e rette, per il momento, da tre diversi amministratori apostolici, due dei quali pescati tra la folta schiera degli ausiliari di Santiago.

 

La stampa cilena, che in questi mesi ha accompagnato quotidianamente l’evoluzione della vicenda, ha definito i tre avvicendamenti “l’inizio della purga” decisa dal Papa dopo aver letto il rapporto di mons. Scicluna e del suo assistente Jordi Bertomeu, che in questi giorni sono proprio a Osorno per completare le indagini e fornire poi un resoconto completo al Papa. L’epurazione non si fermerà qui, considerato che non dovrebbe tardare la sostituzione del cardinale arcivescovo di Santiago, Ricardo Ezzati Andrello, e di altri presuli legati alla cerchia di Karadima. Soprattutto, si attende di sapere chi è che ha male informato il Papa su quanto avvenuto in Cile, portandolo ad assicurare sull’innocenza di Barros davanti alle telecamere salvo poi dover essere costretto a fare retromarcia, con tanto di scuse messe nero su bianco in una lettera al popolo cileno. In queste settimane, nel mirino mediatico è finito il cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, membro più anziano del C9 e arcivescovo emerito di Santiago. Lui ha sempre negato di aver fornito informazioni incomplete al Papa, che però dall’ascolto privato delle vittime (nel chiuso di Santa Marta) si è sentito dire che Errázuriz “è un vero criminale”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.