Papa Francesco (foto LaPresse)

Supplica a Papa Francesco da un non credente occidentale

Giuliano Ferrara
Andare a caccia di eresie finirà per togliere quasi tutto, a noi infarinati di cultura occidentale. La misericordia funziona senza un’insignificante pretesa di esclusività pastorale.

Qualche anno fa a Verona Benedetto XVI e Camillo Ruini parlarono ai vescovi italiani. Parlarono di fede e cultura, di Cristo e del Logos, la ragione che si allea con la Parola, senza identificazioni e senza conflitti irrimediabili. Ne parlarono da specialisti, l’uno teologo l’altro filosofo, e immagino anche da pastori della chiesa cattolica. In un passaggio del suo discorso Ratzinger diede il benvenuto a noi intellettuali laici che fervorosamente appoggiavamo la piattaforma di illuminismo cristiano e di umanesimo colto e filosoficamente implicato del pontificato. Ora Francesco fa di noi degli eretici impenitenti, anche a nome del mio intimo e caro amico Maurizio Crippa, che ne ha scritto su tono diverso dal mio nel Fogliuzzo di ieri. Voi direte: ma che notizia è? Vi siete montati la testa? I papi hanno altro da pensare e da fare.

 

E’ vero. Ma c’è un problema oggettivo, che discende direttamente dalla predicazione gaudiosa, beata, umile ed entusiastica di questo gesuita argentino divenuto capo della chiesa di Roma. Intanto, e mi dispiace per i critici improvvisati di Ross Douthat, il Pontefice è a caccia, se non di eretici, di eresie. Pelagio era un monaco irlandese che tra il IV e V secolo dell’èra cristiana sostenne, attirandosi i fulmini tra gli altri di sant’Agostino, che l’uomo può salvarsi con le sue forze. Mi pare effettivamente un’eresia contro la dottrina della grazia che santifica, ma non ho titoli per dirlo, su questo valgono le parole dei teologi, dei dottori della chiesa e dei papi. Anche la Gnosi, la tendenza a credere che esista una ragione illuminante e illuminata, capace di distinguere il bene e il male, di sostituirsi in certo senso alla mano del Santissimo (semplifico ad abundantiam) è a quanto si è sempre detto un’eresia: la mela dell’albero della conoscenza del bene e del male è stata mangiata una volta con conseguenze letali per l’umanità, tra le quali la comparsa della morte e della concupiscenza, e per questa ragione niente abbuffate di mele. Va bene, Francesco se l’è presa anche con gli gnostici. E ha predicato con efficacia: siate pastori e basta, cari fratelli nell’episcopato, non perdete tempo con la normatività pelagiana, la fede nelle strutture umane e istituzionali, e con i ragionamenti esoterici su bene e male degli gnostici, altrimenti perderete la carne tenera della misericordia e la figura centrale della fede, che è Cristo Gesù, il messia, e meglio ancora l’uomo delle beatitudini. Fate come quel vescovo che in autobus non trovava appigli per la gran folla che vi era ristretta all’ora di punta, e così ha scoperto che il pastore si sostiene con i corpi dei passeggeri del bus, e può farne all’occasione il famoso ospedale da campo.

 

Tutto bene: la dottrina pastoralizzata esclude nonché l’ideologia, falsa coscienza, anche la cultura, lo sforzo di conoscenza razionale, la solitudine spirituale. Manca però il monaco, specie in quel bus, e qui a Parigi, a pochi passi dal Collegio dei Bernardins dove Benedetto fece un famoso discorso sui monaci e la cultura europea, il mio amico Gabriel Matzneff, maestro e complice come direbbe lui, mi ha ricordato che Francesco è un grande Papa di Roma eppure dimentica sistematicamente il monachesimo, che poi (Matzneff è ortodosso russo) sarebbe la condizione ideale a cui tendere del cristiano.

 

[**Video_box_2**]Manca anche l’università, e qui c’è la Sorbonne, se proprio non vogliamo ricordare Firenze accademica e Bologna la dotta. Manca la politica, non dico Richelieu e Mazzarino ma almeno i movimenti del Novecento, i carismi di massa, e magari perfino l’azione cattolica, quella grande del 18 aprile.

 

Voi direte. Non rompere, nelle parole di Francesco ci sono la fede e l’incontro con Cristo, che è l’unico teologo autorizzato. C’è il vangelo, che è l’unico libro importante (salvo magari quella impertinente pretesa del matrimonio indissolubile). C’è la tradizione viva, che supera in breccia ogni norma, che liquida i conservatori del santuario e porta nella piazza del moderno semantico e mediatico le questioni del nuovo umanesimo.

 

Bene, una sola osservazione: Francesco restituisce e dà molto, ma qualcosa toglie. A me non credente, infarinato di cultura occidentale, finirà per togliere quasi tutto, compreso il battesimo voluto da mia nonna. Non offro lezioni di alcun genere a un Papa, sono mica matto. Ma gli rivolgo una supplica né gnostica né pelagiana: faccia della sua misericordia e del suo pauperismo evangelico una glossa a duemila anni di storia cristiana, un’aggiunta significativa e non imprevedibile e alquanto giustificata dalla renuntiatio del predecessore, non un’insignificante pretesa di esclusività pastorale. Non ci sono nel mondo che Francesco ama troppo, e a cui Francesco piace troppo, soltanto i lestofanti dello spirito e i profittatori della buona morale comune, cioè i giornalisti-teologi progressisti, ci siamo anche noi, smarriti di fronte alla complessità della situazione. Comunque, sulla questione del telefonino a tavola, lo amo e lo seguo incondizionatamente.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.