Papa Francesco allo stadio Artemio Franchi di Firenze (foto LaPresse)

Breve guida a un discorso che profuma di svolta per la chiesa italiana

Maurizio Crippa
Le differenti sottolineature con cui i giornaloni genericamente “viva Francesco” e organi di stampa più intelligentemente consentanei alle idee di Papa Bergoglio hanno fatto del discorso di Firenze al Convegno nazionale della chiesa italiana aiutano la lettura.

Milano. Le differenti sottolineature con cui i giornaloni genericamente “viva Francesco” e organi di stampa più intelligentemente consentanei alle idee di Papa Bergoglio hanno fatto del discorso di Firenze al Convegno nazionale della chiesa italiana aiutano la lettura: come due cartelli stradali divergenti a volte ingannano meno di uno. La maggior parte dei commenti ha puntato sul concetto più facile, “Dio protegga la chiesa italiana da potere, immagine e denaro”. Citazione testuale del discorso di Francesco, ma non esattamente la sua chiave di volta. Vatican Insider ha invece sottolineato che “Firenze 2015” non è stata “la versione bergogliana” di quel che accadde a Loreto nel 1985, quando Giovanni Paolo II impose una svolta ecclesiale e culturale alla Cei, poi affidata alle cure di Camillo Ruini, aprendo la via a un trentennio di battaglie ecclesiali e civili contro il relativismo etico e tutti i derivati del secolarismo. Gianni Valente scrive su Vatican Insider che “Papa Francesco non ha presentato nessun ‘progetto rifondativo’ da mettere in campo, nessun articolato disegno di ‘rivoluzione papale’”. Lettura in cui ovviamente c’è del vero, Bergoglio ha indicato molto il Vangelo, non ha fissato una road map né proclamato una rivoluzione: ma eccede nell’accreditare un low profile che in realtà non c’è.

 

Il discorso di Bergoglio alla chiesa italiana non è stato soltanto un indirizzo pastorale, o un puro richiamo evangelico. Segna una svolta di linguaggio – diretto, passabilmente semplice e de-culturalizzante. Il tema del raduno, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, in passato avrebbe invitato ad altri, alti, sviluppi. Lui invece: “Non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede”. Ma soprattutto quanto detto dal Papa segna una svolta strategica (parola che Bergoglio detesterebbe) e di indirizzo (idem). La segna rispetto al convegno di dieci anni fa a Verona, che si barcamenò tra tentativi blandi dei progressisti di contrastare la linea generale ratzingeriana-ruiniana e una sostanziale conferma della stessa. E rispetto a Loreto 1985, dove al centro dell’azione fu messa un’idea di chiesa militante, associazioni e movimenti. In più la famiglia, e la necessità di presenza nello spazio pubblico. Ora Bergoglio dice che “il genio del cristianesimo italiano… non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità”, si rivolge al popolo di Dio e non a settori particolari della chiesa. Francesco vuole che i vescovi siano pastori, non organizzatori. Al posto dei programmi pastorali mette “tre sentimenti” di Gesù, in cui sintetizza di cui la chiesa deve farsi portatrice: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine.

 

[**Video_box_2**]Il suo giudizio sulla chiesa italiana, e quel che ne consegue in termini di svolta, emerge nell’uso di due parole piuttosto desuete, ma assai connotate nel dibattito ecclesiale e molto care a Papa Francesco, che le ha già usate in passato. Si tratta di due “tentazioni”, le ha chiamate così (tecnicamente, ma non vorremmo scatenare di nuovo Faggioli e Douthat, si tratta di due antiche eresie). La prima tentazione è quella “pelagiana”, che “spinge la chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore”. La seconda tentazione è lo gnosticismo. Inteso come un “confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Lo gnosticismo è “una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti”. Progetto e intellettualismo religioso sono due idee di chiesa che proprio Bergoglio non approva.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"