Robert Spaeamann

Sinodo vs. gregge

Dal nazismo alla sociologia divorzista, il “moderno” non è un valore in sé. Sinodo, parla Spaemann

Giovanni Boggero
Dal nazismo alla sociologia divorzista, il “moderno” non è un valore in sé. Parla al Foglio il filosofo tedesco Robert Spaemann

Heidelberg. Nell’aprile scorso aveva criticato il Pontificato di Papa Francesco, definendone caotica la guida e sottolineandone sommessamente le tare in materia teologica. A distanza di qualche mese, il filosofo Robert Spaemann, ottantotto anni, erede della prestigiosa cattedra di Heidelberg che fu di Hans-Georg Gadamer e poi professore a Monaco di Baviera, torna a parlare pubblicamente della chiesa di Papa Bergoglio e in particolare del Sinodo sulla famiglia, questa volta in una conversazione con il Foglio. “Per la chiesa cattolica – dice Spaemann – deve rappresentare un motivo di vanto il fatto di essere l’unica istituzione su questa Terra a opporsi ancora con tutte le sue forze alla disgregazione della famiglia. Già Papa Paolo VI alla fine della sua enciclica Humanae Vitae non seguì l’opinione dominante e Papa Francesco l’ha pubblicamente lodato per questo. Che la dottrina cristiana su matrimonio e famiglia incontri opposizione non è insomma una novità. Si pensi alla reazione inorridita con cui gli Apostoli accolsero le parole di Gesù: ‘Chi ancora vorrà sposarsi?’, chiesero. Ma gli Apostoli – continua Spaemann – seguirono le parole del Signore e divennero messaggeri della Sua Parola. E ora qualcuno vorrebbe che il messaggio del Signore fosse messo in discussione dalla chiesa degli Apostoli e custode dei vangeli? Essa dovrebbe essere adattata a una sorta di reversione moderna nella dimensione di vita pre-cristiana. Così facendo, però – e qui cita il Vangelo di Matteo 5:13 – ‘il sale diviene insipido e verrà calpestato dagli uomini’”.

 

La critica di Spaemann al nuovo corso di Francesco è sottile, come ci si potrebbe aspettare da un filosofo cattolico che è stato a lungo compagno di ricerche e di studi dell’allora professore Joseph Ratzinger, con il quale ancora oggi è in ottimi rapporti. “Moderno o non moderno non sono sinonimi di buono o cattivo. Altrimenti dovremmo lodare il nazismo solo perché utilizzava il motto: ‘I tempi nuovi avanzano con noi’. La chiesa è una ‘fondazione’ nella quale è determinante la volontà del fondatore. E spetta anche al fondatore stabilire chi siano i legittimi interpreti della sua volontà. In questo caso sono gli Apostoli, ai quali Cristo disse: ‘Chi ascolta voi, ascolta Me’ (Luca 10, 13-16). La vita degli uomini deve essere conosciuta dai pastori. Il pastore, come dice Papa Francesco, deve sentire l’odore di stalla del suo gregge. Ma non sono le pecore che devono guidare il gregge, a farlo devono essere comunque i pastori consacrati. Sono questi ultimi a dover dare istruzioni a ciascuna delle loro pecore. E in questo nessuno può aiutarli”.

 

[**Video_box_2**]Sugli esiti del Sinodo che si svolge in queste settimane in Vaticano, Spaemann è cauto e dà anche qualche suggerimento. Con una premessa, sul fatto che “i sociologi oggi vedono nell’alto numero di divorzi nel mondo occidentale un segno della modernità. Ma non si può giustapporre la modernità con l’attuale selfish system”. “Quello che si vorrebbe definire come ‘nuovo’ approccio della chiesa cattolica nei confronti dei divorziati e degli omosessuali è esattamente ciò che prescrive il Catechismo. Per il resto, è chiaro che la chiesa cattolica non è una democrazia, così come il Sinodo non è un Parlamento. La dottrina non può essere messa in discussione, piuttosto deve essere data nuova linfa alla preparazione al matrimonio. E tale preparazione deve già avvenire nelle classi, durante le lezioni di religione. La preparazione inizia oggi troppo tardi. Ma dovrebbe incominciare con uno smascheramento dell’autodistruzione cui l’uomo va incontro con il pretesto dell’autorealizzazione individuale”.