Sinodo, il Papa della collegialità deciderà tutto da solo?

Francesco Agnoli

C'è una grande confusione sotto il cielo romano, visto che non solo le regole del Sinodo, ma il suo svolgimento e la sua conclusione sembrano cambiare di continuo, generando inevitabilmente dicerie e pettegolezzi che non fanno bene alla chiesa.

Nel suo blog, san Pietro e dintorni, il vaticanista Marco Tosatti ha scritto recentemente: "Secondo quello che ci è stato riferito, non mancano quelli che propongono di studiare teologicamente la possibilità di affidare tutto a chi ha il potere di legare e di sciogliere, “un tesoro che non è stato ancora sviscerato a pieno”. Tradotto: lasciare mano libera al Papa di fare quello che gli pare e gli piace, senza curarsi di voti e assemblee. Il Sinodo parla, il Papa decide…".

 

Effettivamente c'è una grande confusione sotto il cielo romano, visto che non solo le regole del Sinodo, ma il suo svolgimento e la sua conclusione sembrano cambiare di continuo, generando inevitabilmente dicerie e pettegolezzi che non fanno bene alla chiesa.

 

Ma la conclusione che alcuni padri paventano (nessuna relazione finale, decide tutto il papa in solitudine), sebbene possibile, dal momento che è nelle facoltà petrine, sembra del tutto improbabile. Perché si genererebbero nella chiesa dissapori e scontri difficilmente sanabili. E perché se il Papa ha taciuto sino ad oggi, non può essere che per un motivo: vuole davvero ascoltare.
Il sinodo sulla famiglia che si svolge in questi giorni, infatti, nasce come un inno alla collegialità. Dal principio del suo pontificato Papa Francesco ha ribadito l'importanza di una chiesa che rifletta tutta insieme, che si confronti, che discuta. Della collegialità e della sinodalità il Papa ha parlato in molte occasioni, molto di più di quanto non facesse il suo predecessore. Il quale, sia detto tra parentesi, ha purtroppo inficiato parte della sua missione proprio per l'eccesso di consigli e consiglieri a cui in tante occasioni ha dato ascolto, mentre forse, a giudizio di chi scrive, avrebbe dovuto decidere con maggiore autonomia. Benedetto XVI è stato infatti il contrario del papa tedesco, dittatoriale e risoluto, che si suole dipingere: ha proposto riforme, come quella liturgica, senza mai andare sino in fondo, proprio perché convinto di doversi portare dietro tutta la Chiesa, compreso l'ultimo parroco di campagna. Anche nella nomine, vescovili e cardinalizie, il papa tedesco che parlava poco di collegialità e che non ha mai oscurato, in linea teorica, il primato petrino, ha spesso fatto ciò che gli proponevano o "imponevano" altri, nominando al suo fianco anche persone che gli erano più o meno palesemente ostili, o che avevano comunque idee molto differenti dalle sue.
Francesco, al contrario, si è presentato sin dal principio come il vescovo di Roma, il vescovo tra i vescovi, un primus inter pares. Nominando con molta prudenza persino la parola "papa". Questo non significa che il suo carattere, la sua indole personale, siano risultati sempre i più inclini alla collegialità professata. Lui stesso, in svariate occasioni, ha ricordato di avere una certa tendenza innata al decisionismo.

 

Molti osservatori interni ed esterni alla Chiesa hanno infatti potuto notare, in più occasioni, una qualche discrepanza – non assente, si ripete, anche nel pontificato precedente –, tra parole e azioni. Per esempio nella nomina dei vescovi: le normali consultazioni, le terne proposte collegialmente, ad esempio dai vescovi di una certa regione per la nomina di qualche confratello, sono state spesso ignorate. Non si sa cosa succederà per la nomina di Bologna, ma se il sostituto del cardinal Caffarra sarà davvero mons. Zuppi, come si vocifera, allora saremo di fronte ad una decisione che ignora i desiderata dei vescovi dell'Emilia Romagna. E forse anche quelli della Congregazione dei vescovi, presieduta dal Cardinal Ouellet, che da tempo sembra, per dirla così, "con poco lavoro".

 

Tornando alla collegialità il sinodo del 2014 ha rappresentato il culmine di una collegialità cercata, auspicata, ma in parte non realizzata: un piccolo gruppo ha redatto una Relatio post disceptationem estranea a quello che era stato il dibattito tra i padri, minando così proprio la collegialità e la parresia auspicate. Questo ha creato molti malumori tra i padri sinodali, che si sono sentiti presi in giro, nel momento in cui hanno visto che il presunto risultato delle prime consultazioni era in verità... il parere di alcuni singoli padri.

 

[**Video_box_2**]Proprio le forzature accadute nel sinodo del 2014, sino al fatto che si è cercato invano, da parte di qualcuno, di impedire la pubblicazione dei risultati delle consultazioni svolte nei cosiddetti circuli minores, spingono a credere che non si lascerà che tutto ciò si ripeta. Se il papa ha voluto il Sinodo per sentire la voce della Chiesa, e perché convinto che attraverso di esso si manifesti lo Spirito Santo, i cardinali Marx e Kasper, e altri novatori, dovranno rassegnarsi a quello che, come ormai sembra chiaro, è il segnale che esce dalle stanze sinodali: le grandi encicliche su vita e famiglia dei pontefici passati (da Humanae vitae a Familiaris consortio) non sono da rottamare. Semmai da comprendere meglio, e da applicare.

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