Per intellettuali e media è morta, ma a essere in crisi è la famiglia “romantica”

Fabio Ferrucci
Come mai – osserva Giuliano Ferrara – studiosi e intellettuali non dicono la loro su quello che definisce la “questione delle questioni”, cioè la dissoluzione della famiglia? In prima battuta verrebbe da dire che la gran parte di loro si è già schierata.

Come mai – osserva Giuliano Ferrara – studiosi e intellettuali non dicono la loro su quello che definisce la “questione delle questioni”, cioè la dissoluzione della famiglia? In prima battuta verrebbe da dire che la gran parte di loro si è già schierata. Nel panorama accademico internazionale il “de profundis” per la famiglia è stato intonato da tempo. Il nutrito elenco di insegnamenti in Sociologia dell’Università della California propone un corso sulla famiglia contro numerosi corsi sul gender. Nulla da eccepire se la libertà di ricerca fosse un principio sempre valido. Invece, le voci fuori dal coro tendono a essere “silenziate”. I loro articoli scientifici alle volte sono giudicati “discriminatori” dai referee perché, evidenze empiriche alla mano, dimostrano che la famiglia ha una sua forma relazionale propria che non può essere modificata a nostro piacimento e che non tutte le forme familiari generano le risorse solidaristiche di cui la società ha bisogno. Almeno ai padri sinodali sono stati accordati tre minuti; qui la partita è chiusa in partenza.

 

Ma la disputa sul destino della famiglia si gioca solo in parte nelle aule universitarie. Ben più dirompente è il soft power mediatico. Da un lato i media si occupano della famiglia quando è patologica, avvalorando così l’idea del suo inevitabile declino. Dall’altro alcune seguitissime sit-com la assimilano e la confondono con nuove forme familiari contraddistinte da peculiari stili relazionali e modalità affettive. Sono queste le cattedre più influenti. Qualche anno fa, un importante quotidiano diede ampio risalto al pensiero di un luminare della medicina secondo il quale, fra due o tre generazioni, tutti diventeremo bisessuali. La dissoluzione della famiglia – a detta del luminare – sarebbe il prezzo, positivo, da pagare per l’evoluzione naturale della specie verso maggiori chance di autorealizzazione individuale. A cementare le nuove forme familiari sarebbe l’amore, inteso come una sorta di religione postreligiosa, che assurge a orizzonte di senso “in cui ciascuno deve inventare e trovare lui stesso l’architettura della propria vita”. Ma nel momento in cui il fondamento del matrimonio è riposto esclusivamente nel libero amore si pongono anche le premesse per la sua dissoluzione. “Dove l’amore costituisce la legge suprema, anzi l’unica legge, un’infrazione all’amore determina la cessazione del rapporto” (Blixen). In una società liquida le relazioni affettive diventano investimenti come tutti gli altri. “Ti verrebbe mai in mente – osserva Bauman – di pronunciare un giuramento di fedeltà alle azioni che hai appena acquistato dal tuo promotore finanziario? Di giurare che rimarrai loro semper fidelis, nella buona e nella cattiva sorte, nella ricchezza e nella povertà, ‘finché morte non vi separi’?”.

 

[**Video_box_2**]Negli anni Settanta del secolo scorso lo psichiatra Cooper sentenziava la “morte della famiglia”. E in quest’ottica oggi i trend statistici di fenomeni quali la riduzione dei matrimoni, l’aumento delle separazioni e dei divorzi sono assunti dalla maggior parte dei commentatori come gli indicatori della crisi in cui versa la famiglia in Italia. Eppure se si guardano bene i dati, la lettura è più complessa. Se li collochiamo nel più ampio scenario dell’Unione europea, scopriamo che in Italia ci si sposa di meno, ma i tassi di divorzialità e di separazione sono molto più bassi del dato medio. Mettiamo al mondo meno figli, ma la gran parte di essi nascono all’interno del matrimonio a differenza di quanto accade in Svezia, Francia, Danimarca. Sebbene la generazione di mezzo (18-49 anni) ritenga giusto chiedere il divorzio se il matrimonio è infelice, allo stesso tempo non lo considera affatto un’istituzione superata. Certo, gli indicatori mostrano una famiglia in affanno. Tuttavia, gli odierni epigoni di Cooper glissano sul fatto che le coppie con figli siano la forma familiare più diffusa, le cui funzioni di mediazione sociale diventano ancora più rilevanti. Le narrazioni mediatiche tendono a restituirci un’immagine amplificata e distorta della realtà. Utile a legittimare scelte politiche che alimentano una profezia che si autoavvera. Ma, per quanto possa risultare irritante, la famiglia normo-costituita resiste e sopravvive a quanti ne avevano previsto la fine. Perché? E se a mostrare la corda non fosse la famiglia in quanto tale, ma la sua concezione “romantica”?

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