Eterosessualità e natalità. La prova di cecità che l'occidente deve evitare

Roberto Volpi
Altro che famiglia allargata, qui è il dibattito che deve essere allargato. A meno che il mondo occidentale non abbia già messo in preventivo il suo inarrestabile esaurimento.

Altro che famiglia allargata, qui è il dibattito che deve essere allargato. A meno che il mondo occidentale non abbia già messo in preventivo il suo inarrestabile esaurimento. Perché non è solo un problema di matrimonio e famiglia, quello che sta sul piatto che noi occidentali ci stavamo cucinando senza neppure renderci bene conto degli ingredienti che impiegavamo; su quel piatto c’è una pietanza che si chiama nientemeno che eterosessualità. Il Sinodo ha di che parlare di matrimonio, e di matrimonio religioso in particolare, istituzione vittima di un declino che appare già scritto. Ha di che parlare di divorzio e famiglia. Ma sarebbe una prova di cecità se il pensiero laico nient’altro facesse che chiosare il confronto sinodale e le decisioni che ne scaturiranno. Perché questo pensiero è alle prese – se ancora si ritiene capace di scandagliare i comportamenti individuali e collettivi che caratterizzano la modernità – col problema epocale della capacità della riproduzione sessuale di essere all’altezza del suo nome e della sua funzione. Appare infatti di tutta evidenza che senza misurarsi con il matrimonio, la famiglia e i figli, o senza più essere capaci di farlo, gli eterosessuali sono entrati in una crisi non solo esistenziale ma perfino intrinsecamente biologica di proporzioni disastrose. E con loro la stessa eterosessualità, mai così svalutata, svuotata, banalizzata proprio da quel pensiero laico che ha finito per scorgervi quasi soltanto un ostacolo all’affermarsi di nuove e più à la page identità sessuali.
Sganciata come mai lo è stata dai progetti di filiazione e genitorialità, l’eterosessualità è venuta indebolendosi “nell’individuo occidentale” anche sotto un profilo strettamente organico-biologico, non solo ideale e culturale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima essere l’infecondità delle coppie occidentali, la loro incapacità di fare figli, pari al 20 per cento delle stesse. In Italia l’Istituto Superiore di Sanità dà questa percentuale al 15 per cento. Si tratta di livelli comunque altissimi di sterilità, e in continua crescita. Ai quali si deve aggiungere la quota, crescente a sua volta, di quelle coppie che pur potendo fare figli escludono di farne. Se a tutto questo si aggiunge poi che una coppia su due di quante possono e vogliono fare figli si ferma a un solo figlio, si ha il quadro dello stato della riproduzione sessuale oggi in paesi come l’Italia. E di quanto l’eterosessualità che ne è alla base si sia ritirata e ancora si stia ritirando dalla sua, chiamiamola così, missione fondativa.

 

[**Video_box_2**]Sgomenta che un paese come la Germania, l’avanguardia dell’Europa, la sua locomotiva, sia di fatto costretto a pensare all’immigrazione come alla sola medicina in grado di curare una sterilità della sua popolazione a tal punto grave da minacciare di trasformarlo in un immenso ospizio per anziani senza prospettive future. Peccato che neppure questa sia una medicina destinata a durare, perché tempo due generazioni alla più lunga ed ecco che gli immigrati acquisiscono né più né meno i modelli riproduttivi dei paesi che li hanno accolti. Peccato anche che tutte le forme più “spericolate” di coppie e famiglie falliscano clamorosamente la prova dei figli e dunque risultino all’atto pratico incapaci di traghettare le società occidentali da alcun’altra parte che non sia un’inevitabile fine corsa. Peccato, perché ci siamo illusi di potercela cavare con poco, mentre eccoci costretti ad arrancare dietro a una natalità che a questi livelli tempo due decenni e ci avrà disseccati come stoccafissi. Eppure si continua a pensare che questo quadro non rappresenti che un problema demografico, sia pure con ricadute di rilievo sul piano sociale ed economico e in termini di prospettive future delle società occidentali. Mentre appare sempre più chiaro che esso ha cominciato a intaccare la sfera più intima e profonda dell’individuo, al punto da precipitarlo o da minacciare di farlo in una crisi di identità che ne mina certezze e valori, riduce la sua capacità di sentirsi in sintonia con gli altri e la società, rende sempre più problematica la sua realizzazione nella vita, vacua la sua stessa esistenza.

 

[**Video_box_2**]Negli ultimi dieci anni in Italia i primi matrimoni di donne con meno di trent’anni sono diminuiti di 60 mila unità, mentre ad aumentare, di poco, sono stati solo quelli di donne di 40 e più anni. Sempre in Italia si fanno ormai assai più figli tra i 40-44 che tra i 20-24 anni delle donne. L’eterosessualità si è già allontanata il più possibile dalla riproduzione sessuale, e per parte sua la riproduzione sessuale va sempre più trasformandosi nella vaga possibilità di una eterosessualità ormai crepuscolare. Ma così facendo, evitando o rimandando oltremisura la prova di matrimoni figli e famiglia, l’eterosessualità è condannata al declino. Nessuna meraviglia se, quando eterosessuali attempati entrano nell’ottica di fare un figlio, il più delle volte falliscono e sono costretti a rivolgersi alla procreazione medicalmente assistita, dove peraltro le possibilità di successo sono limitate. Il Sinodo dunque puntualizzerà dal suo punto di vista una materia tanto complessa quanto decisiva. Parlerà anche ai laici, non c’è dubbio. Ma guai se i laici si fermano a Francesco, perché nel declino di matrimoni figli e famiglia si sta consumando la Caporetto dell’eterosessualità e avvicinando il tramonto dell’occidente.