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Siamo nella Nutella fino al collo

Massimo Bordin

A Pesaro l'omicidio del fratello di un pentito della 'ndrangheta. Così funziona il sistema di protezione

Il lavoro di protezione dei familiari di collaboratori di giustizia è fra i più complicati e compete al ministero dell’Interno. Quando il mafioso decide di collaborare la sua messa in sicurezza è relativamente semplice, soprattutto se è, come avviene nella maggior parte dei casi, già detenuto. Il problema vero sono i familiari di cui il collaboratore chiede eguale protezione che non è detto loro accettino. Ci sono casi, non pochi, in cui mogli ripudiano mariti, genitori figli. Occorre tenere presente che il parente che accetta di condividere la sorte di chi decide di collaborare accende anch’egli un credito con lo stato divenendo un bersaglio dei mafiosi. Viene spostato nottetempo prima possibile, prima ovviamente che la notizia sia trapelata. In genere abita in quartieri ad altissima densità mafiosa.

  

Per dire, spostare la famiglia di un camorrista pentito dei quartieri spagnoli necessita di tre auto, una con due agenti, un autista e un armato, altre due con agenti di un corpo speciale muniti di armi corte e lunghe. Altri hanno già predisposto un appartamento e documenti con nomi nuovi in un posto lontano ma raggiungibile con una corsa notturna in autostrada. Poi seguirà una routine di controlli che coinvolgeranno i presidi di polizia del posto di arrivo ma qualcuno della Dia, o del Ros o dello Sco, ogni tanto si affaccerà per verificare che tutto funzioni a dovere. Un meccanismo complicato che necessita di professionisti di alto livello, che ci sono, adeguatamente motivati. Qui abbiamo un problema. Quello che è successo a Pesaro mostra che da questo punto di vista siamo nella Nutella fino al collo.

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