Breve ripasso della saga di Spelacchio

Massimo Bordin

Dal "complotto" vagheggiato dalla giunta grillina, a "star internazionale". Nella storia dell'Albero di Natale più maltrattato si intravede la regressione dei nostri tempi

Breve storia dell’albero Spelacchio, raccontata dalle massime autorità della città che ebbe per sindaci Ernesto Nathan e Giulio Argan e ora Virginia Raggi o chi per lei. Il 9 dicembre presenta l’albero come “il nostro omaggio alla città”, lo definisce “certificato e molto bello” nella sua semplicità, sobrietà e sostenibilità. Gli addobbi prevedono 600 palle e 300 cascate di led da 10 metri. I romani lo vedono e comprendono perché la sindaca avesse usato quei termini. Viene subito chiamato Spelacchio da tutti. Con quel nome tracima sui social ed è oggetto di articoli e filmati. Ride mezzo mondo. Il battesimo popolare dell’albero è stato troppo tempestivo, osserva il 21 dicembre l’assessora all’ambiente Pinuccia Montanari, per non pensare quanto meno a un mezzo complotto. Poi l’assessore si profonde in giustificazioni degne di John Belushi in “The blues brothers”: veniva da dieci mesi di siccità, gli aghi potrebbero essere caduti per via delle decorazioni troppo strette. Mancano giusto le cavallette. In ogni caso è evidente che c’è una regia in corso, conclude, riproponendo “il complotto di Spelacchio”. Oggi l’epilogo raccontato dall’assessora e dalla sindaca. L’albero è entrato nel quotidiano della gente e ha rapito l’attenzione di radio e tv. Oltre che per l’aulica improntitudine le parole di Montanari sono significative per l’esclusione dell’odiata carta stampata ma anche del solitamente amato web. La sindaca tira le somme dell’operazione Spelacchio annunciandone il riciclo sotto forma di riuso creativo. Non solo gadget ma anche una casetta di legno dotata di fasciatoio in legno. Simbolo di tempi nuovi, da immaginarsi tristi e regressivi.

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