Aldo Moro (foto LaPresse)

Un bilancio della commissione Moro e delle sue tesi

Massimo Bordin

Il presidente Fioroni ha illustrato la terza, e ultima, relazione. Come nello schema palermitano tutto è partito da una presunta inconfessabile trattativa fra i vertici della Dc dell’epoca e i brigatisti

L’inizio della requisitoria della pubblica accusa nel processo palermitano sulla cosiddetta trattativa stato-mafia ha costretto questa rubrica a trascurare la conferenza stampa romana nella quale il presidente della ennesima commissione sul caso Moro, l’ex ministro Giuseppe Fioroni, ha illustrato la terza relazione prodotta dagli onorevoli indagatori. Non la si può considerare la relazione finale ma molto probabilmente sarà l’ultima, visti i tempi ormai strettissimi della legislatura. Tirare un bilancio complessivo dei lavori della commissione è comunque possibile se si considera l’oggetto della sua indagine. Con audizioni, sopralluoghi e ricerche d’archivio, gli onorevoli investigatori hanno esaminato numerose ipotesi, spesso non nuove, orientate a dimostrare che qualcosa di decisivo e indicibile è stato finora nascosto. Spesso gli esiti non hanno ripagato le attese ma non è questo il punto. La tesi che ha mosso la ricerca parte, esattamente come nello schema palermitano, da una presunta inconfessabile trattativa fra i vertici della Dc dell’epoca e i brigatisti. In cambio del varo della legge premiale sulla dissociazione, Valerio Morucci si sarebbe incaricato, con il suo memoriale, di fissare l’invalicabile confine fra quel che si può dire sul caso Moro e quello che deve restare nascosto. La tesi è stata sostenuta dall’ex senatore del Pci Sergio Flamigni nel libro “Patto di omertà”, e su questa traccia si è mossa la commissione che praticamente ha mirato nelle sue attività alla demolizione dell’attendibilità di quel memoriale. Quanto fosse fondato lo schema di partenza resta però il problema vero (continua).