Virginia Raggi (foto LaPresse)

Antonio Di Pietro, Virginia Raggi e "il principio di colpevolezza"

Massimo Bordin

Per poter criticare un politico deve esserci l’imprimatur della Procura, il famoso avviso. Dopo, con l’accordo di Grillo, si può drizzare la croce

C’è un modo sicuro per degradare ulteriormente il tema del rapporto fra politica e giustizia. Basta rivolgere qualche domanda in merito ad Antonio Di Pietro. Interpellato ieri dalla radio di una università, l’ex pm ha confermato questa semplice regola. Dopo aver premesso che lui sugli avvisi di garanzia ne sa più di tutti, perché “io li ho fatti e li ho ricevuti”, e avere apprezzato la cosiddetta svolta di Grillo, ne ha però preso le distanze a proposito dell’idea del tribunale popolare, anche se, ha concesso “alcune persone, nel fare comunicazione prendono uno stuzzicadenti e lo fanno diventare una trave”. In origine era una pagliuzza, ma non è questo il problema e lo si capisce dall’esempio proposto subito dopo: “Prendete il caso Raggi, crocifissa ancor prima di aver ricevuto un avviso di garanzia”. Ne consegue, secondo logica, che se un giornale fa una campagna stampa sull’inconcludenza del nuovo sindaco, sulle nomine incomplete dopo sei mesi, sugli accordi coi dipendenti comunali e delle partecipate, sul bilancio, sulle foglie che restano per strada, insomma se la stampa fa critiche, magari anche condivise dai lettori, compie una azione ignobile come la crocifissione di Nostro Signore. Per poter criticare un politico deve esserci l’imprimatur della Procura, il famoso avviso. Dopo, con l’accordo di Grillo, si può drizzare la croce. La conclusione del nostro è che “Su Virginia Raggi alcuni media adottano il principio di colpevolezza”. Anche qui, probabilmente voleva dire presunzione di colpevolezza, ma la mutazione di una presunzione, comunque inammissibile, in un principio è un lapsus rivelatore.

Di più su questi argomenti: