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bandiera bianca

Sullo stupro virtuale la giustizia dovrà decidere se dare ragione ai filosofi

Antonio Gurrado

Una violenza sessuale nel metaverso può essere penalmente perseguita al pari di una commessa nel mondo reale? Sì, se i giudici britannici daranno retta a quanto sostengono i filosofi

Una donna inglese ha denunciato di avere subito uno stupro nel metaverso, dove il suo avatar è stato sottoposto a violenza da un gruppo di avatar maschili. Spetterà ovviamente alla giustizia (spiega tutto bene Valeria Cecilia sul Foglio di oggi) stabilire se l’accaduto costituisca reato – e auguri ai giudici che dovranno distinguere la fattispecie dello stupro metafisico da quella, che so, dello spaccio di droghe virtuali, del riciclaggio di criptovaluta sporca o del favoreggiamento della prostituzione svolta da meretrici generate dall’intelligenza artificiale.

Per la filosofia, d’altronde, questa notizia non è meno rilevante. Sul versante teoretico, il fatto che uno stupro attuato ne metaverso possa venire equiparato a uno stupro perpetrato nel mondo concreto attorno a noi significa che la realtà non è costituita dalla materia ma dalla percezione. Non riteniamo realtà il fatto che l’oggetto sia davvero lì, fuori di noi, indipendentemente da noi; bensì il fatto che i nostri cinque sensi ricevano degli stimoli, indipendentemente dalla fonte. Sotto questo aspetto, venire stuprati o schiaffeggiati o baciati o portati in trionfo nel metaverso equivale a farlo nel mondo fisico, nella misura in cui l’effetto sia abbastanza realistico da far coincidere gli stimoli sensoriali. I giudici britannici sono quindi chiamati non solo a pronunciarsi su un caso di cronaca virtuale, ma soprattutto a decidere se avesse ragione uno dei filosofi più sottovalutati della storia, il vescovo Berkeley, che nel Settecento diceva: “Esse est percipi, essere vuol dire venire percepito". 

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