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Violenze virtuali

Stupri e molestie nel Metaverso: atti digitali con conseguenze reali

Valeria Cecilia

L'avatar di una minorenne sarebbe stato violentato virtualmente da una gang di avatar maschili durante un gioco immersivo nell'universo targato Meta. La questione solleva tre dubbi, ma uno, a monte, rimane senza risposta: perché abbiamo creato un non-luogo del genere?

Qualche giorno fa sul Daily Mail è apparsa questa notizia: primo caso di violenza sessuale nel Metaverso. Una ragazza inglese con meno di 16 anni stava partecipando a un gioco immersivo quando una gang di maschi l’ha aggredita e stuprata. Cioè: una gang di avatar di sesso maschile ha aggredito e stuprato l’avatar della ragazza. Le autorità inglesi stanno indagando. 

 

Questi i fatti noti al momento. Ora i dilemmi: primo, la certezza del diritto. A oggi il reato di violenza sessuale contempla il contatto fisico tra aggressore e aggredito e la determinazione del luogo fisico dove è avvenuto. Bene, questi elementi per definizione non sono presenti nel metaverso, e quindi il primo allarme è stato “la legge va aggiornata”.

 

Secondo dilemma: la sicurezza. In tanti hanno commentato che questa è la punta dell’iceberg, il mondo virtuale è pieno di atti di violenza e molestie sessuali. Terzo, la questione responsabilità. Il proprietario della piattaforma secondo alcuni va ritenuto corresponsabile dei reati commessi dagli utenti (la responsabilità è stato il primo grande dilemma giuridico della rete sin dalla sua apertura al pubblico negli anni 90). Meta per esempio ha fornito ai suoi utenti la funzione “spazio personale”, una barriera invisibile che circonda gli avatar per impedire alle persone di avvicinarsi troppo (circa 1 metro). Ma una ricercatrice inglese che nel 2022 ha raccontato di aver subito (il suo avatar) un’aggressione, ha affermato che “quando un altro utente ti tocca, i controller manuali vibrano, creando un’esperienza fisica disorientante e inquietante durante un’aggressione virtuale”.

  

Ed ecco che al centro tornano le cose umane, la nostra psiche, la nostra emotività, che fanno saltare in aria seduta stante la distinzione tra reale e virtuale. Secondo il New York Post, il Segretario di stato britannico James Cleverly ha dichiarato: “Coloro che commettono tali atrocità nello spazio virtuale possono rappresentare minacce tangibili nel mondo fisico (…), il punto centrale di questi ambienti virtuali è che sono incredibilmente coinvolgenti e possono avere un profondo impatto sulla psiche della vittima.” Insomma: it feels extremely real. Anche un ufficiale della polizia britannica ha detto al Mail che “la qualità immersiva dell’esperienza del metaverso rende difficile, soprattutto per un bambino, distinguere tra ciò che è reale e ciò che è finto”.

  

Ma perché abbiamo creato il Metaverso? Alle sue origini, nel romanzo cyberpunk Snow Crash di Neal Stephenson (che ha inventato il termine) il Metaverso è una via di fuga, dal mondo, dalla vita dove abbiamo fallito, verso un posto nuovo e migliore, con un nostro io nuovo e migliore. Insomma, l’idea è quella di Second Life, cambia solo la tecnologia (parola di nerd). Ma nel 2021 Mark Zuckerberg presenta il Metaverso come “The next evolution in social connection” e le aziende del settore lo vendono come il luogo virtuale dove si potrà lavorare, vedere mostre, concerti, giocare, imparare. Ma non sono tutte cose che già facciamo nella vita reale (reati compresi)? E allora, l’evoluzione dove sta? La realtà virtuale non va confusa con la realtà aumentata, utile quest’ultima alla medicina, al lavoro, alla sicurezza, ma lontana da una diffusione massiva. Questo metaverso a oggi sembra essere un back up sbilenco del nostro mondo reale (reati compresi). 

 

Ne avevamo davvero bisogno? Noi individui, i mercati? O è un’altra assurda creatura dello storytelling? A livello di business ci sono stati già grandi flop, ma alcune ricerche dicono che la prossima generazione di bambini trascorrerà 10 anni lì dentro, mentre il casco visore è già uno dei regali più richiesti a Natale. Conviene pensarci un po’ su.

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