Matteo Salvini e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il potere magico che Salvini ha e Di Maio no

Antonio Gurrado

Il ministro dell'Interno piace perché è un politico che, ciò che dice, fa. Il grillino, invece, si limita a pronunziare formule di rito che non hanno senso né valore

Se fossero eredi di una dinastia regia, sarebbero Matteo il Performativo e Luigi il Fàtico. Siccome però sono eletti dal popolo, quasi nessuno dei loro sostenitori sa di averli votati perché incarnano ciascuno una funzione estrema del linguaggio. Salvini piace perché è un politico che, ciò che dice, fa. O meglio, mette in atto ciò che dice per mezzo di quella particolare funzione che si chiama linguaggio performativo e che consiste nel pronunciare formule che, entro un determinato contesto, alterano irreversibilmente la realtà anche se non si vede accadere nulla di eclatante. È performativo il “vi dichiaro marito e moglie” detto dal celebrante agli sposi (ma non il mio, detto ai primi due passanti) o il “dichiaro aperti i lavori” detto dal presidente di un congresso (mentre se lo dicessi io entrando dal macellaio susciterei giustificate perplessità). Ora Salvini si trova in un ruolo che gli consente di avvalersi del contesto adatto e quindi, mentre all’opposizione poteva dire ciò che voleva ma non cambiava niente, da ministro gli basta dire che la pacchia è finita o che l’immigrazione cala perché la pacchia sia finita e l’immigrazione cali, almeno nella convinzione degli elettori, anche se i numeri non segnano significative variazioni.

 

Anche a Di Maio piacerebbe possedere questo potere magico, ma non gli riesce: è da marzo che ripete “reddito di cittadinanza” senza che per questo si materializzino i soldi. Non deve abbattersi, tuttavia. Di Maio piace perché è un politico che, ciò che dice, lo dice; e lo dice al solo scopo di averlo detto per poter dire di averlo detto. Utilizza magistralmente quella funzione che si chiama linguaggio fàtico e che consiste nel pronunziare formule di rito che non hanno senso né valore se non per il fatto stesso di pronunziarle. È fàtico il “pronto” che diciamo al telefono o lo “how do you do?” che nei manuali di prima media un signore inglese diceva a un altro signore inglese, ricevendone in risposta un altro “how do you do?”, dopo di che se ne andavano entrambi contenti. E se non ci credete, guardate le statistiche: alle parlamentarie Di Maio ha ricevuto meno di cinquecento clic presentandosi come candidato, mentre fra i suoi post più graditi all’elettorato 5 stelle, in anni di onorata attività su Facebook, spicca quello in cui fa gli auguri di Pasqua. Comunicazione perfetta, chiusa in sé stessa, comunicazione che non comunica ma che pesca a strascico, come un abracadabra, trecentomila like.

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