Nordio: ecco quando imbavagliare le intercettazioni

Ermes Antonucci

Il procuratore di Venezia, intervistato da Libero, denuncia la pubblicazione di conversazioni private sui giornali: “Una porcheria indegna di un paese civile”. E offre una soluzione: compito della magistratura ma anche dei giornalisti. Pure per Legnini, vicepresidente del Csm, le intercettazioni irrilevanti “non devono uscire sui giornali”.

C’è chi dice "no" alla gogna mediatica delle intercettazioni pubblicate sui giornali. E’ una toga: Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, che in un’intervista al quotidiano Libero definisce oggi “una porcheria indegna di un paese civile” la prassi con cui in Italia gli stralci di colloqui privati, irrilevanti sul piano penale, vengono diffusi sui media, annientando qualsiasi diritto alla privacy delle persone intercettate (spesso neanche indagate). Un discorso che riguarda pm e giornalisti.

 

Per il pm di Venezia il problema è alla base, cioè dipende dall’uso che i magistrati fanno di questo strumento giudiziario: è troppo poco, spiega, “limitare la diffusione delle intercettazioni a ciò che il magistrato ritiene rilevante per l’accusa”, perché in questo modo si lasciano “troppi poteri al gip e al pm, che restano gli arbitri unici delle conversazioni che possono essere divulgate e di quelle da tenere riservate”. Secondo Nordio occorre, al contrario, ripensare l’utilizzo stesso delle intercettazioni come strumento d’indagine: “Le telefonate non devono essere considerate prove, ma mezzi di ricerca della prova. Come tali non dovrebbero mai essere allegate agli atti del processo se non quando manifestano un reato in atto. Dovrebbero restare nel cassetto del giudice, come avviene per le intercettazioni preventive, utili come strumento investigativo ma estranee al fascicolo processuale, e quindi non pubblicabili sui giornali”.

 

Il procuratore di Venezia, oltre ad affermare che nessuno – inclusi i politici – “dovrebbe mai dimettersi perché indagato, e tanto meno perché destinatario di un avviso di garanzia”, si dice anche convinto che le conversazioni tra l’ex ministro dello Sviluppo Federica Guidi e il suo fidanzato, diffuse sui media negli ultimi giorni, rappresentano “un fatto privato, che avrebbe dovuto rimanere tale”. La loro divulgazione, però, “visto com’è la legge oggi”, è stata “legittima”, proprio perché tutto ricade sulla selezione che il magistrato fa delle conversazioni telefoniche da richiamare nei provvedimenti che poi adotta: “Il problema è che la sensibilità del magistrato è un criterio troppo evanescente per farne dipendere il sacrosanto diritto alla riservatezza. Perciò la legge va cambiata”, dichiara Nordio.

 

Un’autocritica dal mondo della giustizia sull’abuso delle intercettazioni è giunta pure da Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm), che oggi in un’intervista al Corriere della Sera spiega che “i colloqui personali irrilevanti” non dovrebbero essere pubblicati sui giornali, e che questo “rispetto del diritto alla riservatezza per colloqui privati non rilevanti vale per tutti, non solo per i politici”. L’esatto opposto di ciò che nel nostro paese avviene ormai in maniera sistematica e che, ad opinione dello stesso Legnini, è accaduto anche nel caso Guidi: “I pm di Potenza certamente avranno fatto le loro considerazioni, tuttavia, letto da chi come me non conosce gli atti, qualche colloquio pubblicato sulla stampa mi è sembrato appartenere alla sfera intangibile dei rapporti personali”.

 

E’ per queste ragioni che il vicepresidente del Csm sottolinea l’iniziativa intrapresa dalla settima commissione dell’organo di autogoverno della magistratura, che sta elaborando linee guida per indicare a tutte le procure italiane “buone prassi” per conciliare l’uso delle intercettazioni, il diritto di cronaca e quello alla riservatezza. Un documento che però, non essendo vincolante, rischia di avere pochi effetti sul piano pratico, come ammette lo stesso Legnini: “Qualcosa in più di un consiglio e qualcosa in meno di una disposizione obbligatoria, giacché il potere organizzativo e di direzione di una procura spetta per legge al capo dell’ufficio e quello di valutazione della rilevanza di un’intercettazione al pm titolare dell’indagine”. La presenza di un’anomalia italiana in tema di intercettazioni, comunque, per il vicepresidente del Csm è indubbia: “Che esista un problema relativo alla trascrizione, allegazione agli atti e diffusione dei contenuti di colloqui estranei ai temi d’indagine, mi pare incontestabile”.