Matteo Renzi (foto LaPresse)

Lo sputtanamento deve continuare

Luciano Capone
Renzi frena sulla riforma delle intercettazioni, ma i magistrati attaccano comunque. Il premier annuncia che “il governo non ha intenzione di mettere mano alla riforma delle intercettazioni”. Pm e giudici avvertono che governo, politica e Parlamento non possono decidere cosa pubblicare e cosa no.

Dopo le voci che erano filtrate su un possibile intervento del governo per evitare la diffusione delle intercettazioni irrilevanti ai fini dell’inchiesta, il premier Matteo Renzi ha dichiarato al Tg5 che “il governo non ha intenzione di mettere mano alla riforma delle intercettazioni”, ribadendo però che ci deve essere “buon senso e responsabilità” da parte dei magistrati: “Le intercettazioni servono a scoprire i colpevoli, ma le vicende familiari e i pettegolezzi sarebbe meglio non vederli sui giornali”.

 

Nonostante il passo indietro del governo, o la precisazione che non ci saranno modifiche sulle intercettazioni, il fronte della magistratura risponde compatto a difesa dell’attuale legislazione. Felice Casson, ex magistrato e senatore autosospesosi dal Pd proprio dopo che la giunta per le autorizzazioni del Senato ha negato l’uso delle intercettazioni nel caso Azzollini, in un’intervista al Fatto dice che “le norme in questa materia già ci sono, basta che vengano applicate” e che “lo stralcio delle telefonate irrilevanti esiste da anni e ci sono magistrati che lo dispongono da sempre”. In ogni caso, ribadisce l’ex pm, non è detto che debbano essere pubblicate solo le intercettazioni che abbiano rilievo penale perché “ci sono intercettazioni, anche penalmente irrilevanti, che hanno un rilevo pubblico notevole”. E nel caso di Potenza e del reato di “traffico d’influenze da poco introdotto, anche i dialoghi strettamente personali sono essenziali se dovessero esserci reati di tipo associativo. Solo i magistrati lo possono valutare”.

 

Sulla stessa linea sul Corriere il procuratore di Torino Armando Spataro, che ha recentemente emanato una circolare con nuove disposizioni per distruggere le intercettazioni irrilevanti, secondo cui, a proposito dell’inchiesta di Potenza e della pubblicazione delle conversazioni personali del ministro Guidi e del suo compagno, a fini del reato di traffico d’influenze “non è irrilevante la rete di rapporti personali”. In generale “deve essere chiaro che non può essere in alcun modo il governo o il Parlamento a decidere a priori cosa è rilevante e cosa non lo è, ma solo il giudice in relazione al caso concreto”. Anche per Piercamillo Davigo, neoeletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati, non c’è bisogno di riforme o modifiche all’attuale quadro normativo: “La pubblicazione di intercettazioni davvero non pertinenti è già vietata dalla legge penale quantomeno dal reato di diffamazione. Se non rientrano in quel reato o sono pertinenti oppure si tratta di fatti che attengono all'operato di un pubblico ufficiale. Nel qual caso la pubblicazione è lecita”, ha dichiarato ieri a Repubblica.

 

Nel governo c’è però chi non si arrende all’idea di una riforma, come il ministro per gli Affari regionali Enrico Costa di Ncd (che fino a poco tempo fa è stato viceministro della Giustizia), secondo cui bisogna “trasformare in legge le circolari dei procuratori” di Roma, Torino, Napoli e altre città: “Per scoprire un reato si fanno centinaia di ore di intercettazione, anche e soprattutto tra soggetti non indagati”, pertanto le intercettazioni che svelano il malaffare “è giusto che vengano pubblicate”, mentre “le conversazioni private, accidentalmente captate, non devono finire sui giornali. La differenza mi pare chiara”, ha dichiarato a Repubblica.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali