Il segretario di stato americano John Kerry con il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Jawad Zarif (foto LaPresse)

L'accordo come vogliamo noi o la guerra. Così si negozia a Teheran

Redazione

Seyed Hossein Mousavian, portavoce delle trattative sul nucleare nel biennio 2003-2005 e oggi autorevole “studioso” a Princeton, ha elencato le varie ipotesi sul tavolo in un articolo pubblicato sul Telegraph.

Roma. Mentre il presidente degli Stati Uniti Barack Obama bollava come “propagandistico” il discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso, colpevole a suo dire di minare il negoziato in essere con gli ayatollah (quelli che solo due settimane fa, come sempre accade da trentasei anni, urlavano morte all’America, grande Satana), chi il “dialogante” governo di Teheran lo conosce bene chiariva cosa si intende nella Repubblica islamica per negoziato. Seyed Hossein Mousavian, portavoce delle trattative sul nucleare nel biennio 2003-2005 e oggi autorevole “studioso” a Princeton, ha elencato le varie ipotesi sul tavolo in un articolo pubblicato sul Telegraph. Tanta voglia di darsi la mano, di fare la pace e di mettere da parte maledizioni e minacce pluridecennali: l’Iran, scrive Mousavian, “è disposto ad accettare restrizioni al suo programma nucleare e a eliminare tutti i potenziali percorsi per lo sviluppo di armamenti nucleari”. Se però l’accordo non viene raggiunto “entro la fine di marzo” a causa delle pressioni “di Israele o del Congresso”, lo scenario cambierebbe. Certo, si potrebbe concordare “un altro rinnovo dell’accordo siglato a Ginevra nel 2013, che è già stato rinnovato due volte”, ma “è improbabile che questo possa essere accettato, specialmente dall’Iran”, visto che, a fronte “del congelamento dello sviluppo del programma nucleare iraniano”, rimarrebbero in vigore le sanzioni che tanto male fanno all’economia del governo del presidente  Rohani.

 

Si potrebbe ritrovarsi attorno a un tavolo e mettere nero su bianco un nuovo accordo, che però “non sarebbe l’intesa che tutti sperano di trovare”. Le altre opzioni sono “ben più gravi” chiarisce Mousavian: “Se il Congresso, spinto da Netanyahu, riuscirà a bloccare un accordo complessivo sul nucleare, ci sarà la concreta possibilità che si torni alla reciproca escalation”. In questo caso, prosegue l’ex portavoce emigrato a Princeton, “gli Stati Uniti non potranno chiamare a raccolta gli altri partner per imporre ulteriori sanzioni all’Iran. L’Unione europea e la Cina non vedono l’ora di toglierle. Nel bel mezzo dello stallo con l’occidente sull’Ucraina, poi, difficilmente ci sarebbe il sostegno della Russia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

 

[**Video_box_2**]E’ chiaro, quindi, che all’America non resterebbe che “imporre nuove sanzioni unilaterali”. Nel frattempo, però, “l’Iran espanderebbe i suoi programmi nucleari”, tanto da andare oltre quel “punto di rottura” segnato in rosso su tutti i dossier diplomatici che in questi anni si sono accumulati sulle scrivanie delle cancellerie occidentali, e cioè “il livello al quale sarebbe possibile arricchire abbastanza uranio per una bomba nucleare in un periodo relativamente breve”, sottolinea Mousavian. In una situazione del genere, ci sarebbe la corsa a riprendere i negoziati. Solo che stavolta “gli Stati Uniti dovrebbero trattare con l’Iran dopo il superamento del punto di rottura, concedendo quindi molto di più”. L’ultima opzione per Washington “è la guerra”, che altro non farebbe che spingere Teheran a “sviluppare più aggressivamente gli armamenti nucleari”. Un conflitto che per l’ex portavoce dei colloqui dei primi anni Duemila avrebbe serie conseguenze per tutti gli attori presenti sul campo: “Iran, Stati Uniti e Israele sarebbero notevolmente danneggiati; il medio oriente andrebbe incontro a un’instabilità inimmaginabile e, da ultimo, Washington sarebbe chiamata a cercare un negoziato per smantellare gli armamenti iraniani”. Non conviene a nessuno, scrive Mousavian. Anche perché “se il negoziato fallirà, ci potrebbe essere il ritiro dell’Iran dal Trattato di non proliferazione nucleare e dalla convenzione per la limitazione delle armi di distruzione di massa”. Con tutto quel che ne potrà conseguire una volta venuti meno i vincoli legali internazionali.

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