Paolo Gentiloni e Javad Zarif

Il favore iraniano

Daniele Raineri

Domenica il capo della diplomazia iraniana, il ministro Javad Zarif, ha ricevuto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in un incontro che la Stampa  ha riassunto con questo titolo: “Gentiloni spinge per l’intesa sul nucleare, ‘Così l’Iran può avere un ruolo anti-Isis’”.

Roma. Domenica il capo della diplomazia iraniana, il ministro Javad Zarif, ha ricevuto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in un incontro che la Stampa  ha riassunto con questo titolo: “Gentiloni spinge per l’intesa sul nucleare, ‘Così l’Iran può avere un ruolo anti-Isis’”. Il pezzo si riferisce ai negoziati delicatissimi sul programma nucleare dell’Iran ricominciati ieri tra Zarif e il segretario di Stato americano John Kerry. Il governo italiano tifa perché l’Amministrazione Obama trovi un accordo atomico con l’Iran e Gentiloni dice alla giornalista Antonella Rampino, che era al suo seguito: “Dobbiamo pensare al ruolo che  Teheran può svolgere negli scenari di crisi e nella lotta al Califfato”. In pratica: l’occidente trovi un accordo con l’Iran sul programma atomico, poi si penserà assieme alla minaccia dello Stato islamico che sta coinvolgendo tutta l’area dei paesi arabi.

 

Questo trade-off, questa proposta di collaborazione con l’Iran (collaboriamo sul nucleare e collaboriamo contro il terrorismo) in realtà ignora un dibattito che va avanti con discrezione da anni – da quando è cominciata la crisi in Siria. Ambienti della sicurezza israeliana si interrogano su cosa è davvero più pericoloso, se il terrorismo di origine sunnita o l’Iran con un’arma atomica e alleato trasversale della Siria di Bashar el Assad, di Hezbollah in Libano, di Hamas nella Striscia di Gaza e degli Houthi ora al potere a Sana’a, capitale dello Yemen. Una linea di pensiero solida dice che lo Stato islamico in fondo cos’è se non “quattro ragazzacci” (vedi intervista a Edward Luttwak nell’inserto tre) armati di mitra, coltelli e qualche carro armato, che secondo un rapporto dell’intelligence israeliana non sono una minaccia per un esercito e un’aviazione avanzati. Se invece l’Iran costruisce l’arma atomica allora cambia tutto, a partire dall’equilibrio regionale. Ci sarà una corsa al nucleare? Che cosa faranno i sauditi? Il mese scorso hanno incontrato una delegazione dell’alleato Pakistan per dire che continueranno a pagare per la manutenzione dell’arsenale atomico di Islamabad, perché lo considerano quasi come “roba loro” anche dopo il cambio di re sul trono.

 

L’accordo con l’Iran creerà impunità per Teheran e i suoi alleati? Cosa penserà il presidente siriano Assad, che fu costretto a smantellare il suo arsenale di armi chimiche dopo una strage di civili alla periferia di Damasco nell’agosto 2013 perché minacciato da Stati Uniti e Francia – lo farebbe ancora?

 

Lo Stato islamico è senza dubbio una minaccia spettacolare, ma è pure a lungo termine? E’ anche interessante notare che questa offerta di collaborazione con l’Iran nella guerra contro i jihadisti sunniti suona davvero strana, perché l’Iran sciita combatte già contro lo Stato islamico e lo farebbe anchesenza un accordo con l’occidente sul programma nucleare.

 

Questo punto potrebbe essere dimostrato in tanti modi, ma quello più rapido è dato dalle notizie che arrivano in queste ore dall’Iraq. Ieri è cominciato l’assalto dell’esercito iracheno contro la città di Tikrit, caduta a giugno scorso sotto il controllo del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi. Si scrive “esercito iracheno”, e però si legge “jassorimento di truppe regolari e di varie milizie sciite addestrate, armate e finanziate dall’Iran”, tanto che sabato sera all’aeroporto di Tikrit è arrivato anche il generale Qassem Suleimani in persona, capo delle operazioni all’estero delle Guardie della rivoluzione. Suleimani è l’architetto della strategia iraniana per espandersi nella regione e ha un metodo ben rodato, crea milizie locali di combattenti fedeli a Teheran, lo ha fatto in Iraq e in Siria – hanno nomi come “la Lega dei giusti”, “la brigata Hezbollah”, da non confondere con l’omonimo gruppo libanese che ha obiettivi simili. Questo assalto a Tikrit ci sarebbe anche se non ci fosse un accordo con l’occidente, perché gli iraniani appoggiano il governo filosciita di Baghdad e non possono lasciare che si senta minacciato da ultraestremisti sunniti come gli uomini di Al Baghdadi.

 

[**Video_box_2**]Questa a Tikrit non c’è soltanto una manovra per aprire la strada verso Mosul. C’è anche una resa dei conti epica con i baathisti locali, nostalgici di Saddam Hussein riciclati da poco come comandanti dello Stato islamico. Quando a giugno l’esercito iracheno è mezzo collassato, i baathisti hanno circondato il vicino campo Speicher, a nord della città, hanno catturato centinaia di reclute sciite e le hanno trucidate sotto la bandiera di al Baghdadi – ma era un vecchio conto da regolare. Ora gli sciiti iracheni con l’aiuto dell’Iran provano a restituire il colpo. E che i negoziati con John Kerry vadano pure come vadano.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)