Un momento dei negoziati in corso a Losanna sul nucleare iraniano (foto LaPresse)

Iran, un giorno per il deal

Tatiana Boutourline
Nell’accordo nucleare ormai anche le questioni tecniche sono politiche. Domani la deadline

Roma. Quando mancano ormai solo 24 ore allo scadere della deadline per il raggiungimento di un “accordo quadro” sul nucleare iraniano, i negoziatori entrano ed escono dagli opulenti saloni del Beau Rivage Palace di Losanna con i volti tirati. I reporter che stazionano nella lobby compulsano descrizioni dei movimenti dei delegati: il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è vicino all’ascensore, il segretario di stato americano John Kerry ha saltato la passeggiata in bicicletta e il capo della diplomazia iraniana Javad Zarif si addentra nei giardini del Beau Rivage a confabulare con i suoi. Il deal che fino a pochi giorni fa pareva quasi cosa fatta non si è ancora materializzato, le notizie sono contraddittorie e uno degli uomini chiave della delegazione iraniana, Ali Abbas Araghchi, ammette: “Siamo in un momento critico, ad ogni incontro l’umore cambia”.

 

Una settimana fa la vulgata era che la maggior parte delle questioni tecniche era stata risolta e che i nodi che pur rimanevano da sciogliere sarebbero alla fine stati districati, ma adesso tutti i protagonisti appaiono consapevoli che nulla è più “tecnico” e che tutto, invece, è più che mai “politico”. L’accordo va venduto alle rispettive opinioni pubbliche e agli alleati, cercando di limitare il più possibile i danni collaterali. Ciascuno devo dimostrare che è la controparte ad aver ceduto di più. Il team Rohani rilancia cercando di rosicchiare tutto quello che può sulla tempistica dell’allentamento delle sanzioni, l’Amministrazione Obama, criticata tanto a Gerusalemme e Riad quanto al Congresso, ha più che mai bisogno di raccontare che il giorno dopo il deal il mondo sarà migliore, per farlo deve garantire che le verifiche sul programma nucleare iraniano saranno stringenti e assicurarsi che, in caso di eventuali violazioni di Teheran all’accordo, le sanzioni possano facilmente essere riapplicate, il cosiddetto meccanismo “snap-back”. Tuttavia, intorno agli interessi iraniani e americani si intrecciano quelle degli altri negoziatori. Come scriveva il Guardian alcuni membri permamenti del consiglio di sicurezza russi, cinesi e forse anche francesi non vedrebbero di buon occhio l’idea di misure punitive che scattano in maniera automatica senza un passaggio formale che certifichi il loro assenso.

 

Su altre questioni, per esempio sul numero delle centrifughe che l’Iran potrà conservare, Teheran ha fatto passi avanti accettando di limitarle a 6 mila, quando prima ne pretendeva almeno 10 mila e fonti diplomatiche europee hanno detto al Foglio di ritenere che Teheran potrebbe essere persuasa a far calare il numero ulteriormente. Tuttavia la possibilità per l’Iran di portare avanti la ricerca e lo sviluppo su nuovi modelli di centrifughe e le disposizioni relative al regime di controllo del programma iraniano da parte degli ispettori sono ancora temi difficili.

 

[**Video_box_2**]I negoziatori iraniani hanno tradito il loro nervosismo (o forse un eccesso di tatticismo) quando Araghchi è comparso alla televisione iraniana smentendo che le riserve iraniane di uranio a basso arricchimento possano essere trasferite all’estero. Il New York Times ha colto nella dichiarazione una virata da parte degli iraniani (l’ipotesi dello spostamento in Russia dello stockpile iraniano è stato un tema importante in questi mesi nella difesa del deal) e il dipartimento di stato ha puntualizzato che l’ipotesi del trasferimento dello stockpile iraniano era solo una ipotesi allo studio e che non vi era stato nessun impegno iraniano in questo senso.

 

Nel frattempo domenica, poche ore prima della sortita di Araghchi, sono circolate voci sull’esistenza di una intesa tra le parti che sarebbe presto stata confermata da un documento di due-tre pagine sui princìpi generali alla base dell’accordo, (anche se gli iraniani non hanno fatto mistero di non voler rivelare i dettagli del deal fino a che non sarà definito in tutti i suoi aspetti tecnici: “La mia paura – ha detto Javad Zarif ad Ann Curry di Nbc il 28 marzo – “è che un documento di due pagine sia una tigre di carta, chiunque la può uccidere”), ma i rumors sono stati smentiti quando l’arrivo dei ministri degli Esteri europei a Losanna, inizialmente salutato come la fine dello stallo, ha invece confermato che il compromesso è sì possibile, ma non scontato.

 

Questa mattina la sessione plenaria tra gli iraniani e i rappresentanti dei 5 più 1 è durata solo un’ora e un quarto e alla fine dei lavori, il ministro degli Esteri russo, arrivato all’appuntamento per ultimo, ha fatto sapere che se ne sarebbe tornato a Mosca. A una giornalista che gli chiedeva se fosse ottimista sul negoziato: Lavrov ha risposto in perfetto stile Lavrov: “Non mi pagano per essere ottimista”, e Kerry ha aggiunto con un sorriso “Non ti pagano abbastanza per essere ottimista”.

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