La Francia convertita

Marina Valensise

Dilagano nel fuoco degli avvenimenti le polemiche sul romanzo a sorpresa di Houellebecq, che dichiara morto l’occidente e destinato all’islam il suo paese. In libreria Soumission, racconto della sconfitta occidentale tra la eco tragica della grande fusillade.

Parigi, 11 e 30, pieno centro, 11esimo arrondissement. Due uomini vestiti di nero e incappucciati danno l’assalto alla sede del settimanale satirico  Charlie Hebdo. Aprono il fuoco a colpi di kalashnikov contro la riunione di redazione, uccidono i vignettisti Cabu, Charb, Wolinski, Tignous e altri giornalisti, fuggono a piedi, si ritrovano davanti una pattuglia di polizia, continuano a sparare, freddano i due poliziotti puntando il kalashnikov alla tempia. 

 

Parigi è sotto choc. Da un’ora all’altra con questo attacco terroristico contro la libertà di stampa e i principi della République, cambia l’atmosfera, finora salottiera fra il cinico e  l’indignato e lo svagato, che circonda l’uscita dell’ultimo romanzo  di Michel Houellebecq, “Soumission”, pubblicato da Flammarion. Il tono si fa tragico intorno a questa distopia che accende gli animi, con la favola della conversione all’islam di un professore della Sorbona, in concomitanza con l’elezione nel 2022 di un musulmano moderato alla presidenza  della Repubblica, coi voti del centrodestra e del centrosinistra, per sbarrare la strada al candidato dell’estrema destra, Marine Le Pen.

 

Michel Houellebecq è un tipo stralunato, sembra fuori dal mondo. Dopo anni d’esilio volontario in Irlanda, lo scrittore più antimondano del mondo vive in solitudine radicale in un appartamento con le pareti colorate di rosso, in una di quelle grandi torri futuriste di Place d’Italie che sembrano un carcere. Passa le giornate a scrutare dalle finestre il traffico incessante, e gli avventori del sottostante centro commerciale, bevendo molto leggendo ancora di pù,  come  testimonia quest’ultimo suo libro che rende omaggio ai grandi autori della tradizione  cattolica, pensatori profondi e controcorrente, come Léon Bloy, Péguy, Claudel, Bernanos, oltreché Huysmans, scrittore decadente contemporaneo di Baudelaire, e unico grande amico del suo alter ego letterario, François,  l’universitario parigino che a Huysmans dedica la sua vita di studi. Houellebecq dice di avere scoperto Huysmans solo da grande, e infatti non ha studiato lettere, ha una formazione scientifica, ha lavorato nei computer, prima di scoprirsi scrittore.  Ma di Huysmans, come di tutti i grandi autori di cui pullula questo romanzo, se ne è completamente impossessato, tant’è che il libro rigurgita di citazioni, riflessioni e idee tratte dalla frequentazione di quei classici. Houellebecq infatti è un solitario, un solitario radicale, capace di telefonare nottetempo al mondanissimo Bernard-Henry Lévy, che rappresenta il suo perfetto contrario, per comunicargli il suo intento  suicida, visto che gli è morto il cane, i genitori, la fidanzata l’ha lasciato e non ha  nessuno con cui conversare. E’quanto lo stesso BHL ha raccontato in pubblico, fornendo  dettagli sul salvataggio in extremis  messo in opera intorno a un bicchiere di Calvados, al bar del Ritz.

 

Quel meraviglioso personaggio letterario, l’autore del romanzo che è sempre il più discusso del momento, col suo volto patibolare, le occhiaie grevi, il sopracciglio a cuspide, lo sguardo spento e le labbra flaccide su un’arco dentale corroso dal tempo, forse dall’incuria o dall’abuso di alcol, incarna l’ultimo grande intellettuale francese. “Contemporain capital” l’ha definito Emmanuel Carrère, scrittore di successo che  da anni aspira alla stessa consacrazione mediatico-politica. Houellebecq è infatti l’erede di quella tradizione che solo in Francia trasforma uno scrittore, un romanziere, un poeta, persino un saltimbanco in una figura pubblica, voce della nazione, paladino delle idee e perciò privilegiato rappresentante della società civile a lui contemporanea. La tradizione nasce nel Settecento con Voltaire, Rousseau, Diderot, i philosophes, continua dopo la Rivoluzione coi profeti disarmati, i grandi scrittori romantici, e poi gli antiromantici realisti e decadenti, sfiora la Belle époque per entrare nel Novecento, rinnovandosi nei fumi dell’ideologia, e riappare dopo la morte delle  ideologie, il crollo delle dittature totalitarie che se ne erano nutrite, la fine delle illusioni,  e la scomparsa della letteratura  come arte sovrana, regina del mondo,  per l’avvento imperioso dei media, attraverso il digitale e i social network.

 

Giustamente Houellebecq resiste a questa metamorfosi. Continua suo malgrado, malgrado la discrezione, la riservatezza, il silenzio in cui vive, a rappresentare l’intellettuale faro, che coglie i movimenti profondi della realtà in cui vive per restituirli alla società nella loro verità più urticante, anche a costo di passare per un paria, un pazzo, un reietto, pur di andare in rotta di collisione col conformismo benpensante. Epater les bourgeois.

 

Per questo ogni libro che scrive è un evento e più che mai lo è il nuovo, plasmato su materiali di per se incandescenti che la decimazione di una redazione di disegnatori satirici nel pieno centro della capitale rende paradossali e fiammeggianti, come l’eguaglianza di genere, la libertà individuale, la ricerca di un senso della vita al di là del consumismo liberale, il ritorno alla religione e la sete di trascendenza che caratterizza oggi l’occidente e l’agonia dei valori del razionalismo illuministico. Inevitabile la polemica.

 

La comunità musulmana è in subbuglio. Tareq Oubrou, rettore della moschea di Bordeaux ha detto che l’apparente islamofilia alimenta l’islamofobia. Per ogni estimatore, come Alain Finkielkraut o Emmanuel Carrère, c’è un detrattore pronto a dare battaglia,  come Edwy Plenel, l’ex trotskista fondatore di Mediapart, sito sulfureo e di successo che attizza la polemica in ogni dove. Se il romanziere Carrère incensa Houellebecq mettendolo sullo stesso piano di Orwell o di Aldous Huxley, e da romanziere neocristiano vede in lui l’âme soeur, con le stesse preoccupazioni in tema di fine della civiltà,  Finkielkraut lo difende a spada tratta, perché con quei “suoi personaggi che sembrano in carne e ossa ci  propina un disvelamento del mondo, combina con arte consumata l’astratto e il concreto, il narrativo e il filosofico, e genera la sua forza comica dal fatto di guardare dall’esterno lo spirito del tempo, anziché  esserne prigioniero e  combatterlo, mantenendo nei suoi confronti un’impassibilità irresistibile”.

 

Plenel invece detesta Houellebecq, lo considera una sorta di Céline redivivo, le cui tesi perniciose alla democrazia e alla gauche,  aizzano l’odio razzista contro i musulmani e pertanto andrebbero vietate, bandite dal PAF, il paesaggio audiovisivo francese, anziché essere invitate a occupare il centro della ribalta come se le sue invenzioni fossero un caso politico. D’accordo con Plenel, l’ex direttore di Libération e del Nouvel Obs Laurent Joffrin, che denucia “l’irruzione o il ritorno delle tesi di estrema destra nell’alta letteratura” perché   “la favola di Houellebecq veste le idee del Fronte nazionale o quelle di Eric Zemmour”.

 

Nel clangore della battaglia, Houellebecq mantiene la calma. Tranquillo, serafico, nemmeno tanto avvinazzato e con lo sguardo assente al quale ci aveva abituati, è apparso al telegiornale della tv di stato, France 2, per rispondere alle domande di David Pujadas, un Chicco Mentana senza asperità né rivendicazioni, che ha infilato anche fra i personaggi del suo romanzo.  Provocazione, anticipazione? Cosa contiene in realtà il suo nuovo libro? Né fantasia, né previsione, ma soltanto una possibilità, forse non a breve termine, ha risposto lo scrittore dodici ore prima che i terroristi dessero l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo, uccidendo a colpi di kalashnikov Wolinski,  Chabu, Charb,  Tignous, i migliori vignettisti francesi, oltre a due poliziotti e altri giornalisti.  La riconciliazione, anzi la sottomissione, ha detto Houellebecq, include pure un progetto più vasto, ricentrare l’Europa a sud, con una sorta di nuova pax romana, in cui la Francia avrà un ruolo trainante. E nella sua vena stralunata, lo scrittore ha insistito nel dire che il protagonista del  romanzo  Mohammed Ben Abbes, che vince le presidenziali del 2022 “è un politico molto dotato, ambiziosissimo, storicamente all’altezza di Napoleone, anche se usa il negoziato come arma e non le armi per aprire un negoziato”. Ma alla domanda –  questo scenario, non rischia di alimentare la paura dell’islam? –  ha nicchiato, citando gli estremisti che nel romanzo restano sotto controllo e  altri esempi di conversione strategica, da Enrico IV che abbandonò la religione riformata per il trono di Francia a Napoleone, che in Egitto non avrebbe esitato a convertirsi all’islam. “Lei sembra minimizzare la paura”, ha concluso il giornalista.

 

[**Video_box_2**]I rinforzi sono arrivati subito. Malek Chebel, erudito moderato, traduttore del Corano, ha apprezzato il cambiamento (“Houellebecq non pensa più che l’islam sia la religione più cretina del mondo”), ma l’ha accusato di proporre la caricatura di un islam radicale e violento, venendo meno alle responsabilità dello scrittore. Michela Marzano, femminista e filosofa, ha stigmatizzato l’indifferenza dello scrittore, con  la teoria del perché no:  perché non sottomettersi, non convertirsi, non accettare l’idea che le donne sono succubi dell’uomo? Ma l’accusa più grave è venuta dal presidente della Licra,  lega contro il razzismo e l’antisemitismo, Alain Jakubowicz, per il quale la Francia descritta da Houellebecq, coi partiti democratici che si mobilitano per la sharia, era il miglior regalo che si potesse fare a Marine Le Pen. “ Marine Le Pen non ne ha bisogno”  ha risposto lo scrittore senza scomporsi. “Non vedo esempi di un romanzo che abbia cambiato il corso della storia, saggi sì, manifesti politici pure, ma romanzi proprio no”, ha ribadito. Alla fine è tornato a difendere la sovranità della letteratura e del romanziere che non deve giudicare i suoi personaggi, ma limitarsi a renderli credibili. Il professore che si converte deve essere convincente, e il lettore può essere libero di pensare ciò che vuole. Quanto allo stato d’animo dell’homo occidentalis oggi, che vive l’agonia dei valori di  libertà, di eguaglianza nell’edonismo individualistico, in  balìa del non senso… “è vero”, ha detto Houellebecq. “La gente non sopporta più di vivere senza Dio. Successo e consumi non bastano più. Non è un fenomeno che ho inventato io. Io mi limito a percepirlo. Invecchiando sento che l’ateismo è una soluzione dolorosa, difficile da tenere. Quanto all’islam moderato, le varianti sono enormi, dal Marocco all’Indonesia, e non può fare paura”. Avrebbe mai immaginato un  capitolo così tragico per il marketing del nuovo romanzo?