Imprescindibile petrolio, motore e arbitro dell'economia

Francesco Forte

Negli ultimi tre mesi il petrolio è arrivato a 55 dollari, scenderà. A osservare le oscillazioni storiche si scopre che il greggio non è mai stabile a lungo, per la sua natura di variabile incondizionabile da eventi esterni. Gli effetti su Europa, Italia e Russia e le analogie con la carne di porco.

Nel giro di meno di tre mesi, gli ultimi del 2014, il prezzo del petrolio che era in ottobre a 95 dollari il barile è arrivato a 55 nonostante che ci sia una sorta di guerra fredda fra l’occidente e vari paesi produttori della costa africana (Libia), del medio oriente e dell’area sotto l’influenza russa; cosa che in altri tempi faceva schizzare in alto il prezzo di questa materia prima.
All’inizio del 2014 il petrolio era ancora attorno a 110 dollari il barile e stava iniziando la sua discesa, poi diventata rapida, con una curva verso il basso quasi verticale, sino all’attuale fase di oscillazione su un livello attorno ai 50 dollari il barile (ce ne vogliono circa 7 di barili per fare una tonnellata). Ma il ciclo del petrolio è in gran parte endogeno, cioè autodeterminato, non esogeno, ovvero dovuto a cause estranee, come i fattori politici. Il ciclo del petrolio è, dunque, simile a quello dei maiali, il primo fra gli endogeni, cui si dedicò lo studio econometrico. Un’offerta abbondante a un prezzo alto sollecita a produrre. L’accumulo di scorte dovuto all’eccesso di offerta sulla domanda – al prezzo dato – genera una flessione del prezzo, che scoraggia l’offerta, sin quando le scorte sono esaurite. Dopo, il prezzo torna a salire, perché la domanda, frattanto accresciutasi in relazione alla dinamica del prodotto nazionale e alle abitudini dei consumatori di prodotti finiti (salsicce e prosciutti per i maiali, auto, aerei e centrali elettriche per il petrolio), sta sempre più superando l’offerta. Conviene produrre perché i prezzi nella Borsa dei futures sono alti. E così via.

 

Il prezzo del petrolio dal 1861 al 2011 (in blu in termini nominali, in rosso in termini reali

 

Con una differenza temporale, il ciclo del petrolio rispetto a quello dei maiali. I maiali si allevano, mediante le nascite e la semina dei foraggi per alimentarli. Il petrolio richiede la ricerca dei giacimenti (prospezione), la messa in opera e lo sfruttamento dei pozzi (coltivazione dei giacimenti) e le reti dei trasporti (porti, gasdotti, navi). Inoltre lo sviluppo tecnologico è più intenso per il petrolio che per i maiali, nell’epoca attuale, informatica, perché la genetica si avvale di questa molto meno che la ricerca mineraria e lo sfruttamento dei giacimenti, a grandi profondità o in condizioni ambientali difficili. Ma richiede fasi di apprendimento più lunghe.

 

Ecco così che possiamo osservare – nel grafico in pagina – il prezzo del petrolio, nel suo ciclo di lungo termine dal 1861 al 2011, anno di picco sopra i 100 dollari, sia in dollari del 2011 (curva in alto) che in dollari correnti (curva in basso che coincide con l’altra nel 2011). Poiché i dollari del passato valgono molto più di quelli attuali, in potere di acquisto identico, la curva in dollari 2011 è molto più alta di quella in dollari correnti. E fa meglio emergere la fluttuazione ciclica di lungo termine, svelando che non è vero che fra il 1867 e il 1973 il prezzo del petrolio è rimasto pressoché stabile e poi ha preso a fluttuare. E non è vero che fra il 1861 e il 1967 vi è stata una modesta fluttuazione, mentre adesso i cicli sono molto accentuati. In termini reali nel 1864 il petrolio raggiunse i 115 dollari al barile, pressappoco come nel 2011 quando giunse a 110. Negli anni ’76-’78 ci fu l’altro picco oltre i 100, sollecitato dalla guerra del Kippur, ma in realtà generato dalla crescita della domanda alla fine degli anni 60, in cui l’offerta era diventata scarsa rispetto allo sviluppo neocapitalistico. Occorreva un rialzo di prezzo per generare un salto di tecnologie applicate e di strategie di ricerca e coltivazione dei pozzi e di logistica dei trasporti e il relativo finanziamento. Poi si è arrivati nell’area dei 50 dollari. Ma alla fine del secolo, l’offerta tradizionale era diventata scarsa, rispetto alla crescita mondiale. L’assalto alle Torri gemelle del 2001 pare innescare un nuovo mega rialzo che si esalta con il ciclo espansivo della nuova finanza. Ma esso non cessa nel 2008, perché poi si torna sopra i 100 dollari, benché la crisi dopo il boom abbia dato inizio a un periodo di recessione. Ora ritorniamo a 45 dollari e qui staremo, probabilmente, parecchio perché c’è anche il gas degli scisti petroliferi, detto shale gas, per ora soprattutto negli Stati Uniti, ma in futuro altrove.

 

Qui mi fermo, perché la storia del gas naturale, il fratello nobile (ma meno agile) del petrolio, complicherebbe troppo il quadro. Le conseguenze geopolitiche sono enormi. E mostrano che la strategia delle sanzioni alla Russia era sbagliata e che non serve l’embargo con l’Iran. La sanzione per loro è il basso prezzo del petrolio che comporta una necessità di diversificazione. Per noi comporta la riconversione delle nostre esportazioni nei loro confronti dai beni di consumo a quelli intermedi e di investimento. La bilancia dei pagamenti dell’Italia si pareggia più facilmente. E l’Europa meridionale che importa energia si avvantaggia di quella centrale e settentrionale che ne produce di più da proprie fonti. Ma tutta l’Europa ha una maggior capacità produttiva inutilizzata, motivo in più per agire con urgenza attraverso politiche monetarie non convenzionali. Occorrono infine nuove tecnologie per la cattura dell’anidride carbonica.

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