La novità, il ragazzino a Palazzo Chigi, risveglia in lui una sorta di voglia bizzarra, il bisogno di provare forse anche a se stesso il proprio inesauribile potere

Allegrie nazarene

Salvatore Merlo

Specchiarsi nel giovane erede, giocare con i malmostosi di Forza Italia. Malinconia, morte e resurrezione del Cav. renziano.

Dicono che adesso provi un divertimento sadico e giullaresco all’idea di poter rifare la destra mentre Matteo Renzi rifà la sinistra, e per la prima volta il Cavaliere è condottiero per interposta persona: Renzi è la sua stazione di posta, gli permette di tirare il fiato, ripensare e riparare, progettare, se necessario anche ricostruire, o anche solo immaginare, sognare con ludico cinismo di poter rivoltare ogni cosa nel suo partito e nel suo cosmo disordinato per poi invece lasciare tutto com’è. Il ragazzino, l’avversario gemello, ha cancellato per lui l’urgenza ansiosa di dover tirar fuori, con stanca abilità di prestigiatore, l’ennesimo coniglio dal cilindro, un figlio, un erede, un delfino, un Alfano “o un dinosauro”, come disse lui una volta. C’è tempo, persino calma, pur in quel turbinìo di sollecitazioni, mezzi ammutinamenti, trabocchetti, musi lunghi, voti segreti, piccoli tradimenti e urla represse che è diventata Forza Italia ai tempi della strana, asimmetrica coalizione con Renzi. Le elezioni sono lontane, gli affanni giudiziari sempre latenti, nell’ombra, ma avvolti dalle delicate sordine dello stil novo Nazareno, di una pace che serve all’uno e serve all’altro, serve a Renzi e serve a Berlusconi. E il ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo, il solido miraggio d’essere restituito alla politica attiva, il solo pensiero di potere un giorno ricandidarsi, chissà, tra illusioni e visioni, gli accende una speranza nel cuore. “E se ne giova persino l’umore”, dice il vecchio amico, Ennio Doris, descrivendo così un’ebbrezza che dà allo spirito audacia, acutezza e una segreta disperazione, perché ad Arcore in questi giorni, dice il presidente di Banca Mediolanum, “c’è tanta, tanta malinconica allegria”, e la malinconia, diceva il poeta, “altro non è che il desiderio di avere un desiderio”. E insomma tutto è possibile ma anche negato dal destino, in un intreccio sorprendente. Gli anni sono passati, la freschezza attenuata, anche i sondaggi sono quello che sono. Pochi giorni fa, a Sirmione, Berlusconi ha spiegato che la sua bandiera “è a mezz’asta”. Ma dopo le ore tetre, nerissime della condanna in via definitiva, dopo l’esclusione dal Senato, dopo l’incandidabilità, dopo l’onta dei servizi sociali, adesso la giostra è inaspettatamente ripartita, con le sue speranze e baldanze fiorentine, con il desiderio d’avere desideri, con quel dedalo sottomarino che collega Arcore e la segreteria del Pd, una terra di avventure per Sinbad, Denis Verdini il marinaio. “E Silvio è stato bravissimo ad afferrare Renzi. Come Renzi è stato bravissimo a farsi afferrare”, dice Doris, quasi parlasse di un naufrago e di un salvifico tronco che galleggia. “Faranno le riforme, credo. Silvio entra nei libri di storia. Ma come Abramo Lincoln, non come Al Capone”.

 

Gli uomini di Forza Italia considerano Renzi una pericolosa sirena, e hanno paura di lui. “E’ un ragazzino che non capisce niente”, corrode Renato Brunetta. “Non possiamo fargli ancora dei regali”, s’immusonisce Augusto Minzolini. “Le scelte politiche vanno discusse”, dice Raffaele Fitto. E taluni sono gonfi di ribellione e mali propositi. Racconta Maurizio Bianconi, deputato, già tesoriere del Pdl, “se continua così Berlusconi in quindici giorni rischia di perdersi i gruppi parlamentari. Sul serio. Io resto dentro. Ma ora lui dice che vuole sostituire i deputati, che vuole renzizzare il partito, esprime fastidio nei confronti della sua gente. E così, in questo momento, in queste condizioni, mettere insieme trentacinque parlamentari in dissenso è più facile di prima”. Ma la stagione delle scissioni è finita, tutto lo scindibile nel centrodestra si è già scisso: Meloni e La Russa, Micciché e Alfano, tutti in lotta per la sopravvivenza, per uno zerovirgola. E poi c’è sempre lo spettro di Fini a tormentare i sonni d’ogni scissionista in potenza. Così Fitto e Berlusconi si sono stretti la mano, lunedì scorso, a Sirmione, poi hanno parlato a lungo, con il giovane feudatario pugliese serrato in un sorriso duro che significava: “Bluffa pure!”, mentre lo sguardo chiedeva: “Rassicurami”. E davvero li anima un doloroso smarrimento mescolato a speranza. C’è persino chi teme che sia Berlusconi ad andarsene, per fare Forza Silvio. Dunque si organizzano pranzi nelle trattorie intorno a Montecitorio e Palazzo Madama, si assiepano capannelli nel cortile della Camera, nei corridoi, nell’aula dei gruppi parlamentari, in Senato. E in queste riunioni talvolta gli uomini del Cavaliere parlano tutti insieme, non molto forte, è vero, ma producendo una specie di ronzio, da cui escono ombre di discorsi: “Dovremmo fare l’opposizione a Renzi… Non può mica pensare di gestire ancora Forza Italia da padrone… Ci vogliono dei gruppi autonomi!… Ci vogliono le primarie… No ci vogliono i congressi… Dobbiamo sostenere Fitto… Hai visto la standing ovation che gli hanno fatto a Sirmione?… Questa storia del club non mi convince per niente”. E se invece s’incontrano a pranzo, nelle tavolate di semigerarchi, di quasi generali e di simil graduati, allora in questo genere di ritrovi vige, al contrario, un sistema di conferenze alternate: ognuno ha il suo pezzetto di malessere da spiegare, che gli altri ascoltano con sorrisi condiscendenti ed esclamazioni di consenso: Fitto, Daniele Capezzone, Renata Polverini, Rocco Palese, Paolo Sisto… E sono momenti importantissimi, perché regalano a ciascuno il senso di fare sul serio, di essere veramente notevoli, di appartenere a un mondo particolare, folto di complicazioni, pensieri gravosi, incombenze, affanni, cui seguono, alla fine del pranzo, smorfie sazie e malinconiche. Anche Berlusconi, infatti, li spaventa, quando dice, con negligenza sorridente: “Forza Italia ha bisogno di rinnovare. Dopo vent’anni ci ritroviamo con una stanchezza che non è in tutti ma è in molti di noi”.

 

Ma gli uomini di Forza Italia evitano istintivamente di pensare alle azioni del Capo, come ci si allontana dai bordi di uno stagno dalle acque tenebrose e profonde. Sorride Doris, che di quasi rivolte e semi pronunciamenti, alla corte del suo amico Silvio, in vent’anni, ne ha già visti parecchi: “Quando le elezioni sono lontane c’è sempre il marasma. Poi improvvisamente arriva il voto, e vedi che tutto si quieta. Il fatto è che Silvio si è ravvivato nell’abbraccio con Renzi. Vorrebbe fare tante cose. Spalancare le finestre. E’ continuamente pervaso di idee. E’ un rullo compressore. Lo criticano perché appoggia Renzi, si arrabbiano. Ma non lo capiscono. Qui il gioco è molto più grosso di piccole beghe di ceto politico, si parla di riscrivere le regole, la Costituzione, la legge elettorale. Persino il termine ‘patto del Nazareno’ è diminutivo, quasi spregiativo. Silvio vede in Renzi l’ultima sua opportunità per cambiare il paese. Dall’opposizione. E ovviamente si diverte, si diverte un mondo”.

 

[**Video_box_2**]E insomma dei giorni neri della condanna e della decadenza dal seggio di senatore, dei giorni in cui il suo viso era rimasto contratto per la preoccupazione e l’offesa, di quei giorni che sembrano ormai così lontani ma non lo sono, Berlusconi conserva un ricordo al tempo stesso nitido e incoerente, come capita con una musica, dei motivi, dei ritmi che rimangono ingarbugliati e che la memoria tende a ricomporre, a riaggiustare seguendo una partitura più gradevole e soggettiva. “Si diverte. Si diverte un mondo. Era morto ed è risorto”. Allora raccontano che, sul serio, a un certo punto il Cavaliere, mesi fa, abbia proposto a Renzi di prendersi il suo partito, l’eredità politica. “Tu sei come me. Possiamo essere soci”, gli ha detto Berlusconi, con la faccia di lupo fotogenico, con lo stesso tono serio e ironico, spavaldo e segreto con cui avrebbe parlato, trent’anni fa, il piccolo imprenditore rampante che riusciva a vendere gli appartamenti ancora prima di averli costruiti, quello che non si era mai fatto spaventare da nessun affare, quello che viveva di avventure, azzardi, percorsi obliqui e fantasiosi. Perché in quella stramba offerta a Renzi, dicono, in quel preciso istante in cui la pronunciava, Berlusconi sentiva che stava dicendo la verità e che allo stesso tempo quella non era tutta la verità, e nemmeno gran parte della verità, bensì il frammento più prezioso d’una verità totale e tuttavia inesprimibile: tu sei come me. “La vita non l’ha preparato alla ribellione, ma all’ostinazione, alla pazienza, allo sforzo spesso deluso, continuamente rinnovato, alla rassegnazione apparente che aumenta e concentra quelle forze dell’anima che lui interpreta con spirito di gioco”, dice Doris descrivendo il suo vecchio amico Silvio. E dunque ora Berlusconi vede sul serio in Renzi un suo infedelissimo doppio. E dunque come Renzi anche lui vorrebbe ancora una volta trasformare la sua Forza Italia, saltare in un cerchio di fuoco, pervaso dal solletico avventuroso che gli procura la sola idea di rifare la destra mentre l’altro rifà la sinistra. Così, mentre Fitto gli sussurra in un orecchio di stare attento, “perché Renzi non ti vivifica. Renzi ti prosciuga. Renzi ti toglie lo spazio politico”, lui invece s’immagina anziano eppure ancora giovane, impresario di un’ultima grande rappresentazione nel circo della politica, “una bandiera a mezz’asta”, ma ancora una bandiera. La novità, il ragazzino a Palazzo Chigi, risveglia in lui una sorta di voglia bizzarra, il bisogno di provare forse anche a se stesso il proprio inesauribile potere.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.