Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (Foto LaPresse)

Renzi e Berlusconi faranno un figlio?

Claudio Cerasa

Contro i burocrati, frenatori e conservatori. Le baiser del Nazareno alla prova dello sblocca Italia. Ma esiste un dissenso vero? Indagine.

Roma. Montecitorio, giovedì pomeriggio. Il cronista passeggia con uno smaliziato deputato del Pd che dopo le parole di “Matteo” sulla riforma del lavoro, l’incontro tra Renzi e Berlusconi (mercoledì) e l’approvazione in commissione dell’emendamento che abolisce l’articolo 18 (ieri) fa una sintesi brillante e, crudo, la mette così: “Ora dobbiamo solo capire se dalla trombata tra Renzi e Berlusconi nascerà qualcosa oppure no”. Il discorso è generale, non tocca solo la riforma del lavoro (che nelle intenzioni di Renzi dovrebbe essere portata avanti senza aiuti di Forza Italia) e riguarda una questione che tutti si stanno ponendo nelle ore in cui le baisers del Nazareno (da qui in avanti “I Nazareni”) hanno dimostrato che il futuro della legislatura passa dalle loro mani.

 

Detto in altre parole: se è vero che Renzi (con l’aiuto di Berlusconi) ha intenzione di sfidare corporazioni, burocrati, incrostazioni, parrucconi, frenatori, gufi, rosiconi, sciacalli, conservatori, se è vero tutto questo, esiste qualche nuovo santone in grado di rappresentare un ostacolo reale alla possibile “rivoluzione” del compagno Matteo? Toccare l’articolo 18, si sa, non è come toccare il Senato, o le soglie di sbarramento, o le liste bloccate. E’ una battaglia più tosta dalla quale non può che emergere una reazione uguale e contraria all’azione del governo. Nelle migliori delle occasioni chi ha provato a toccare il lavoro si è ritrovato a fare i conti con milioni di persone in piazza (2002, Circo Massimo, segretario della Cgil Sergio Cofferati). Nelle peggiori si è ritrovato a fare i conti con alcuni colpi di pistola (nel 1999, l’uomo che per conto del governo D’Alema stava lavorando per superare l’articolo 18, Massimo D’Antona, venne ucciso da un gruppo terroristico legato alle Nuove Br. Tre anni dopo, quando Berlusconi tentò di modificare lo statuto dei lavoratori, l’uomo che per conto del governo stava elaborando una riforma del mercato del lavoro, Marco Biagi, viene assassinato di fronte al portone di casa sua). Attorno ai gemelli del Nazareno oggi l’impressione è che esista un fronte di scontento trasversale che potrebbe sfociare in alcune sporadiche iniziative di contestazione politica e mediatica ma che a differenza del 2002 non ha un capopopolo intorno al quale condensare le proprie manifestazioni di dissenso. Camusso non ha il carisma di Cofferati. Landini conta quanto il due di picche. La minoranza del Pd ha buoni numeri in Parlamento ma non ha una voce credibile e forte per esprimere il suo dissenso. Civati minaccia importanti e strategici referendum per discutere “seriamente” la riforma dell’articolo 18 ma a parte il consenso di qualche amico di Walter Tocci il buon Pippo non sarebbe capace di riempire anche una sola delle curve del Circo Massimo. I conduttori unici delle coscienze (modello Santoro) non hanno più i numeri televisivi per fare piazza pulita e spostare chissà quale consenso.

 

Qualcuno si augura che possa approfittare del momento di confusione il solito Nicola Zingaretti ma il governatore del Lazio ha altri progetti e (per ora) non intende vestire i panni dell’anti Renzi. Qualcun altro spera (brr) che possa partire un sempre efficace appello di Libertà e Giustizia contro la svolta autoritaria del governo sul lavoro (bisognerà anche dare a Zagrebelsky qualcosa, qualsiasi cosa, su cui poter esercitare la propria calligrafia). Ci sarebbe anche Grillo, che ha convocato il suo popolo il 10 ottobre proprio al Circo Massimo, ma da quando i cinque stelle whatsappano con gli amici califfi non si può dire che il peso dei grillini possa impensierire chissà quanto i due Nazareni. “Vedrai – dice sicuro Fabio Mussi, vecchio leone dei Ds, oggi nel giro vendoliano – ‘sta roba il Pd non la regge e noi abbiamo già la lista di quelli che potrebbero passare con noi. Fassina, Cuperlo…”. Uno smottamento parlamentare di un gruppo incazzoso di sinistri del Pd in effetti non è da escludere e da un certo punto di vista sarebbe anche fisiologico. “Non esiste nessun partito europeo di area socialdemocratica – dice Giorgio Tonini, vicecapogruppo dei senatori del Pd, membro della segreteria – che non debba confrontarsi con un’area di sinistra critica.

 

[**Video_box_2**]E se un governo vuole agire in modo incisivo deve mettere in conto anche uno strappo con essa”. Uno strappo, ammettono a Palazzo Chigi, dovrà comunque esserci e un qualche effetto dovrà produrlo. Potrà produrre un decreto, qualora la commissione Lavoro alla Camera dovesse fare i capricci con il disegno di legge delega. Potrà produrre una scissione, qualora la sinistra alla Fassina dovesse manifestare a oltranza il suo incondizionato dissenso (Renzi è di destra! Scappiamo!). Potrebbe portare alle elezioni, qualora il Parlamento non dovesse accettare l’impostazione della riforma del Lavoro. “E guardate che questa volta – dice ancora la nostra fonte renziana – Matteo pensa davvero che o passa questa riforma oppure si va a votare. E fidatevi che oggi, a temere il voto, sono più i nemici di Renzi che gli amici di Renzi”. Il 18 ottobre, pochi giorni dopo la sfilata grillina per il centro di Roma (aiuto), Landini potrebbe anticipare la manifestazione nazionale che la Fiom aveva programmata per il 25 ottobre. Ma più che Landini (cresciuto mediaticamente anche per essersi autodipinto come il rottamatore della Cgil e che nella parte del rottamatore del rottamatore non funzionerebbe granché) il vero avversario che spaventa Renzi e che potrebbe intervenire con efficacia sul percorso del governo coincide con il mondo della magistratura. Il premier ha scelto di sfidare su più fronti i magistrati (responsabilità civile, proposta di un membro del governo come vicepresidente del Csm e infine, smacco finale, un avvocato come responsabile giustizia del Pd, Ermini) ed è anche per questo che nel giro renziano considerano non casuali alcuni piccoli segnali arrivati nelle ultime settimane. Le indagini in Emilia Romagna. L’avviso di garanzia al capo dell’Eni. E infine – ieri – l’indagine su papà Renzi per bancarotta fraudolenta a Genova. Un Renzi indagato. Un’indagine laterale che si porta appresso una domanda scontata: sicuri che sarà l’ultimo Renzi a finire tra le accoglienti braccia della magistratura?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.