Barack Obama (Foto AP)

Leader improvvisato

Obama si lascia sfuggire la verità: “Non abbiamo ancora una strategia”

Il presidente congela l’intervento in Siria contro il Califfato e manda Kerry in missione per conto del multilateralismo.

New York. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, è corso in televisione di prima mattina a cercare di correggere il messaggio uscito in modo maldestro dalla bocca del presidente il giorno prima. A quel punto però non c’era operazione di “damage control” che tenesse o rilievo semantico che potesse attutire gli effetti di una formula che è diventata il nuovo tormento del presidente: “We don’t have a strategy yet”, non abbiamo ancora una strategia. Earnest l’ha spiegata così: il presidente non ha “un piano in questo momento” per combattere lo Stato islamico in Siria, ma ha un “piano generale” contro lo Stato islamico in Iraq. Se è vero che la frase scivolata freudianamente via dalle labbra di Obama riguardava nello specifico le manovre contro il Califfato in Siria, altrettanto vero è che il “non abbiamo ancora una strategia” è risuonato alle orecchie del mondo – e in particolare a quelle dei leader dello Stato islamico – come un’affermazione di carattere generale, una sintesi dell’intera politica estera dell’Amministrazione, orfana di un’idea strategica. “Non mettiamo il carro davanti ai buoi”, è la sintesi popolaresca di Obama.

 

Dopo una settimana dedicata all’escalation retorica sullo Stato islamico come “cancro” da estirpare e “minaccia a tutti gli interessi degli Stati Uniti”, Obama ha rallentato la corsa verso l’azione, spiegando che ha chiesto al segretario della Difesa, Chuck Hagel, di studiare diverse opzioni militari da porre alla sua attenzione, e al capo della diplomazia, John Kerry, di andare nelle capitali mediorientali a cucire una coalizione anti Stato islamico – non importa quanto rabberciata – per sollevare l’America dalla responsabilità di agire direttamente. Chi aveva visto nell’invio di aerei da ricognizione nei cieli della Siria il preludio di un intervento, deve adattarsi ai tempi morti del multilateralismo, tenue stella polare nella navigazione obamiana. “L’assunto della politica estera di Obama è: se noi facciamo un passo indietro, altri faranno un passo avanti. Ma sulla Siria e sull’Is, quando abbiamo arretrato, anche gli altri hanno fatto lo stesso”, dice Shadi Hamid, della Brookings Institution.

 

Le varie conferme militari circa la necessità, per sconfiggere lo Stato islamico, di attaccare le sue roccheforti in Siria sono state per il momento accantonate dal presidente. La recente conquista della base aerea di Tabqa, strappata al regime di Assad, dimostra che la campagna di bombardamenti contro il Califfato in Iraq ha prodotto effetti circoscritti, senza cambiare il “momentum” della guerra. “Lo Stato islamico si è mosso agilmente per guadagnare porzioni di territorio anche dopo l’inizio dei bombardamenti aerei”, spiega uno studio dell’Institute for the Study of War, che smentisce frontalmente la tesi dell’Amministrazione, secondo cui gli attacchi hanno “invertito l’inerzia” del conflitto. “Stiamo soltanto spingendo il nemico altrove”, ha detto un funzionario del Pentagono al Daily Beast, che ha subito raccolto gli anonimi malumori della fazione interventista malamente sconfitta nel dibattito interno all’Amministrazione. “Non abbiamo ancora una strategia” è frase foriera di ulteriore imbarazzo se letta alla luce di un report del centro antiterrorismo dell’Accademia di West Point: “Lo Stato islamico non è diventato improvvisamente efficace nel giugno del 2014. Si è progressivamente rafforzato e ha attivamente creato le basi del suo dominio nel corso di quattro anni”. Detta altrimenti: loro una strategia ce l’hanno.

 

Il presidente in conferenza stampa è sembrato “sinceramente confuso”, ha detto David Ignatius, decano dei commentatori di politica estera, e la confusione è apparsa ancora più profonda quando ieri il primo ministro britannico, David Cameron, ha preso la parola per annunciare l’innalzamento del livello di sicurezza a “severe”, il secondo gradino nella scala delle minacce. La decisione si accompagna a restrizioni sui passaporti e altre misure di sicurezza per fronteggiare “la più grande minaccia che abbiamo mai visto” e con la quale non c’è possibilità di appeasement: “La radice di questa minaccia è chiara. E’ una velenosa versione di estremismo islamico che è stata condannata da tutte le fedi e da tutti i leader religiosi”. All’assertività delle manovre inglesi, la Casa Bianca ha risposto che un cambio del livello di guardia negli Stati Uniti al momento è “improbabile”. Per ora Obama manda emissari in medio oriente e accorcia il suo ponte del Labour day dedicato al fundraising democratico e allo svago per riunire di nuovo il team della Sicurezza nazionale. Magari a qualcuno è venuta in mente una strategia.

 

 

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