Barack Obama e Eric Holder (foto Ap)

Nella Ferguson infuocata sbarca Eric Holder, coscienza razziale di Obama

Nell’universo morale e politico di Obama, Eric Holder rappresenta molte cose: il castigatore dei banchieri, il procuratore inflessibile, uomo di lotta dentro al governo. Soprattutto, Holder è la coscienza razziale di Obama.

New York. Nell’universo morale e politico di Obama, Eric Holder rappresenta molte cose: il castigatore dei banchieri, il procuratore inflessibile, l’amico che ha accesso ai momenti più riservati della vita famigliare, il consigliere fedele, il mastino di colletti bianchi cresciuto alla scuola di legge della Columbia. E’ anche l’unico sopravvissuto al normale ciclo di rimpasti del governo americano, dove le teste rotolano e le targhe sulle porte cambiano con una certa facilità. E’ uomo di lotta dentro al governo. Soprattutto, Holder è la coscienza razziale di Obama. Ci sono cose che un presidente, e soprattutto un presidente nero, non può dire pubblicamente se non a costo di apparire parziale, ancorato a una certa idea di mondo nella quale non tutti gli americani possono riconoscersi. In termini generali (e particolari) il presidente è figura paterna, orientata all’unificazione nazionale, concentrata più su ciò che unisce che su quel che divide, più interessato alla “cura” che alla “ferita”, come Obama ha ripetuto in questi giorni di violenza a Ferguson, nel Missouri, cercando un’intonazione à la Lincoln.

 

E’ tutto scritto nel primo discorso pubblico tenuto da Holder in qualità di procuratore generale: “Anche se la nazione si concepisce orgogliosamente come un meltin’ pot etnico, in materia razziale siamo sempre stati e continuiamo ad essere essenzialmente una nazione di codardi”. Interrogato sull’opportunità della dichiarazione, Obama ha detto che se soltanto l’avesse consultato prima della stesura del discorso il linguaggio sarebbe stato diverso. Ma la sostanza non si discute. La coscienza esplicita ciò che il protocollo giocoforza annacqua.

 

Charles Ogletree, amico storico di Holder e compagno di studi degli Obama ad Harvard la spiega così: “Sulle questioni razziali, Holder è andato più lontano e più in profondità di quanto la Casa Bianca avrebbe desiderato, ma ha il beneplacito del presidente. E’ chiaro che Obama e Holder credono nelle stesse cose”. Questo spiega in parte il motivo per cui il procuratore generale non è stato scalzato dalla poltrona anche quando nei corridoi della Casa Bianca il dipartimento di Giustizia è diventato sinonimo di grane, polemiche, grattacapi. Il carcere di Guantanamo è ancora aperto, i terroristi che contiene non saranno processati a Manhattan, i giornalisti vengono indagati e in alcuni casi spiati, le frontiere sono fuori controllo: eppure Holder regge e lotta per conto del presidente. Se necessario battendosi all’ultimo sangue contro la Corte suprema, che per un attimo ha creduto che l’America fosse un po’ meno codarda di come la descrive Holder e ha sollevato alcuni stati del sud dall’obbligo di fornire garanzie sulle operazioni di voto che erano considerate necessarie dopo la fine della segregazione.

 

Inviare la coscienza razziale del presidente a Ferguson ha significati molto più ampi di una semplice indagine. Holder ha fatto molta pressione per “federalizzare” un’inchiesta locale, portandola a livello della coscienza nazionale, e oggi si presenta nel sobborgo di St. Louis anche per portare la carezza del presidente alla minoranza oppressa. Arriva con il bagaglio di imparzialità istituzionale che si addice al ruolo, ma non può strapparsi la pelle di dosso. Sbarca in Missouri mentre l’omicidio di Michael Brown si è frammentato in un mosaico di polemiche in cui la destra a tinte libertarie contrasta l’assurda escalation militare delle forze di polizia, i media “credono di essere partecipanti attivi negli eventi”, come scrive Noah Rothman e nei giornali liberal si sprecano titoli da giustizia di piazza, genere “Arrestatelo!”, di cui l’Huffington Post è fiero pioniere. Ferguson è stato trasformato in un saggio lacrimogeno sull’autocoscienza razziale della “nazione di codardi”. La Casa Bianca non esclude una visita di Obama a Ferguson nelle prossime settimane, ma nel frattempo invia la sua coscienza.