Joseph Blatter, presidente della Fifa (foto LaPresse)

L'inutile Blatter allarga i confini del Mondiale, ma in fondo arrivano sempre le stesse

Francesco Caremani

Nelle precedenti diciannove edizioni dei Mondiali, dodici sono state vinte da Brasile, Italia e Germania, quattro da Uruguay e Argentina (due volte ciascuno) e le tre rimanenti da Inghilterra, Francia e Spagna. Cinque nazionali europee contro tre sudamericane, di fatto quelle che hanno scritto la storia di questo sport.

Nelle precedenti diciannove edizioni dei Mondiali, dodici sono state vinte da Brasile, Italia e Germania, quattro da Uruguay e Argentina (due volte ciascuno) e le tre rimanenti da Inghilterra, Francia e Spagna. Cinque nazionali europee contro tre sudamericane, di fatto quelle che hanno scritto la storia di questo sport, insieme con i propri club e con i giocatori storicamente più rappresentativi. Il resto, tutto il resto, è cornice, più o meno bella, più o meno interessante, più o meno letteraria. Mettendoci dentro anche Brasile 2014 e considerando le prime quattro di ogni manifestazione (pure di quelle dove non si disputarono le semifinali), scopriamo che i tedeschi sono arrivati tra i primi tredici volte, undici i brasiliani e otto gli italiani, gli stessi che hanno preso parte a più coppe del mondo: venti su venti i verdeoro, diciotto a testa bianchi e azzurri. L’Argentina ha partecipato sedici volte, ma solo 5 è andata in semifinale, come l’Uruguay, la Francia e l’Olanda, che al Mondiale è arrivata dieci volte contro le quindici del Messico, incapace però di superare lo scoglio dei quarti di finale (1970 e 1986, cioè nei due tornei giocati in casa).

 

Attualmente le federazioni affiliate alla Fifa sono 209, nel 1930 ai Mondiali in Uruguay parteciparono 13 squadre, 16 nel ’34, 15 nel ’38 e 13 nel ’50 in Brasile, poi sempre 16 fino al ’78 in Argentina. Nel 1982 diventarono 24 e 32 dal 1998, anno del primo mandato (8 giugno) di Joseph Blatter quale presidente del massimo organismo calcistico internazionale. Un allargamento che di fatto non ha aumentato né il livello tecnico né lo spettacolo della manifestazione, anche se quella attuale li ha risollevati entrambi. Il teorema dell’allargamento è stato camuffato da un’inevitabile democratizzazione dell’intero movimento, con l’idea che pure gli altri continenti, nonostante l’irrilevanza sportiva e competitiva, dovessero avere il giusto spazio, riconoscimento per un calcio che stava crescendo e che alla luce degli aspetti fisici avrebbe potuto rappresentare il calcio del futuro; quello africano e quello asiatico insieme ad Australia e Stati Uniti. Proprio mentre dall’Africa i mercanti di calciatori iniziavano a rifornire le proprie ‘galere’ con le vele spiegate verso l’Europa e i primi giocatori giapponesi varcavano confini inespressi, spinti più dal merchandising che dalla reale convinzione che potessero cambiare le sorti di una squadra occidentale.

 

I confini ‘esoterici’ del football, però, non sono stati modificati, come dimostrano i numeri, visto che su 80 semifinaliste solo una volta è toccato agli Stati Uniti (1930) e alla Corea del Sud (2002), le altre 78 sono state appannaggio di rappresentative europee e sudamericane. Quattro volte la Svezia, due Spagna, Inghilterra (che se non avesse vinto in casa nel ’66 rischierebbe l’irrilevanza storica), Ungheria, Cecoslovacchia, Austria, Jugoslavia, Portogallo e Polonia. Una per Cile, Urss, Belgio, Bulgaria, Croazia e Turchia. Più che del calcio del futuro siamo orfani di quello dell’Est e mitteleuropeo.

 

[**Video_box_2**]Il resto sono le favole del Camerun, del Senegal, del Ghana, del Costarica, del Giappone (più che una favola, una bozza), ecc. Ma queste sono rimaste senza un seguito, senza la costruzione di un vero movimento (né di calciatori né di tecnici autoctoni), spesso senza la creazione di centri di formazione, favole costruite su importanti affermazioni delle rappresentative giovanili, unione di talenti coetanei che si sono fermati al vorrei ma non posso. In questa edizione si è sfiorato il ridicolo con i premi continuamente discussi con le rispettive federazioni, quasi a ricordare gli anni bui del calcio africano, quando tutto era fuorché il football del domani, anni luce distante dallo sport che amiamo, sogniamo o leggiamo. Per non parlare di quello asiatico che è più facile percepire al centro di combine che per un’evoluzione tecnica e tattica significativa. La verità è che l’allargamento delle squadre partecipanti alla Coppa del Mondo è stato fortissimamente voluto da Joseph Blatter, il quale con una sola manovra ha ottenuto due obiettivi: i voti per replicare sine die il suo mandato alla presidenza della Fifa (scandali permettendo) e la moltiplicazione del pubblico televisivo, che con i diritti alimenta la cassaforte dell’organizzazione no profit più ricca del mondo.

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