Maurizio Martina (foto LaPresse)

La visione di Martina

Andrea Marcenaro

Dai sei anni ai 70 passando da Mazzini fino a Renzi attraverso Lenin, Che Guevara, Mao, l'Amor nostro. E ora? 

Avevo sei anni e amai perdutamente Maria Mazzini col di lei figlio, Giuseppe, avendo il Comune chiamato me e mio fratello no, tié, al coro di voci bianche che ne inauguravano il busto: giardini dell’Acquasola, piazza Corvetto (Genova), 1953. Sbagliai. La ragione stava con Cavour. A sedici anni, Rosa Luxemburg: “Quando si ha la cattiva abitudine di cercare una gocciolina di veleno in ogni fiore chiuso, allora si ha fino alla morte qualche motivo per lamentarsi”. A saperlo, però. Sbagliai di nuovo. Carissimi amici mi convinsero di quanto fosse più fico Lenin. E Lenin fu. Che Guevara l’adoro ancora. Di sbieco, ma me ne aveva spiegato il motivo Guy Debord, società dello spettacolo. Salvo apprendere, in tarda e inutile età, di come fosse stato, quel tipastro, il grillino di Cuba, vale a dire non solo incompetente, pure sadico. Arrivò Mao. Senza quei Quattro (che come si scandiva bene Chen-Po-Ta nei cortei, nemmanco i Beatles) ancora starei lì. Quanti errori! E che gran tempi, però! Che personaggi! Poi quante idee del cazzo, in tanti decenni: con Amendola e Malagodi, e Saragat, e Craxi, e l’Amor nostro, e la Fornero, e perfino Renzi alla fine. L’ultimo con la visione, spiegano adesso, sarebbe Martina. Ho settant’anni, dai. Ditemi che non è vero.

  • Andrea Marcenaro
  • E' nato a Genova il 18 luglio 1947. E’ giornalista di Panorama, collabora con Il Foglio. Suo papà era di sinistra, sua mamma di sinistra, suo fratello è di sinistra, sua moglie è di sinistra, suo figlio è di sinistra, sua nuora è di sinistra, i suoi consuoceri sono di sinistra, i cognati tutti di sinistra, di sinistra anche la ex cognata. Qualcosa doveva pur fare. Punta sulla nipotina, per ora in casa gli ripetono di continuo che ha torto. Aggiungono, ogni tanto, che è pure prepotente. Il prepotente desiderava tanto un cane. Ha avuto due gatti.