Camera dei Deputati. Voto di fiducia al governo Conte. Nella foto Maurizio Martina dopo il suo intervento (LaPresse)

L'assemblea del Pd

David Allegranti

Sabato l’assise dei Democratici, Martina verso la conferma a segretario. Sì, ma il congresso?

Roma. L’assemblea di sabato, salvo sorprese, confermerà il reggente Maurizio Martina come segretario del Pd. E’ l’unico elemento su cui non paiono esserci dubbi, perché sul resto invece grande è la confusione sotto il cielo (ma la situazione non è eccellente). Molte sono le questioni che si affastellano: una volta ottenuta la conferma del segretario, quando ci sarà il congresso? Quali saranno i candidati? Il dibattito sulla forma partito e sull’identità del Pd, finora rimandato, ma urgente dopo le ripetute sconfitte alle elezioni politiche e amministrative, in che modo comincerà? Andiamo con ordine.

  

La conferma di Martina sarà a termine, assicurano i renziani, che mercoledì si sono riuniti (parlamentari, membri non eletti della direzione, a eccezione di Matteo Renzi che non ha partecipato), a certificare che un’area politico-culturale, una “corrente”, è pienamente in attività e che fino a prova contraria questa corrente detiene ancora la maggioranza del Pd. Resta da capire però se Martina accetterà di essere un capopartito a progetto, con una data di scadenza precisa, oppure vorrà arrivare fino al termine del mandato. Da Statuto, essendo subentrato a un segretario dimissionario, l’attuale reggente potrebbe durare fino al 2021. Probabile che le parti si mettano d’accordo per celebrare il congresso anzitempo.

   

E qui c’è l’altra questione da risolvere: prima o dopo le Europee? Lo scenario cambierebbe non di poco. Se il congresso fosse celebrato dopo le Europee, il front-runner del Pd con cui affrontare il populismo sovranista sarebbe Maurizio Martina. In caso contrario, il prescelto sarebbe il vincitore del congresso. O Nicola Zingaretti, che è in campo, o un altro che ancora non si vede per conto dei renziani. I quali, al momento, non hanno un candidato. E forse non sono nemmeno troppo d’accordo sui tempi. Eppure, dice Stefano Ceccanti, “non si può lasciare a lungo il Pd in una situazione di incerta transizione. L’elezione di Martina come segretario di tregua, per dare tempo di preparare un Congresso non affrettato, non può comunque far differire quest’ultimo oltre le europee. Anzi la mozione congressuale dovrà avere come discrimine proprio il modo con cui si andrà alle europee: se staticamente con il solo Pse o se invece cooperando con quella larga alleanza da Macron a Tsipras su cui sta lavorando il presidente francese, che comprenderà anche il Pse, per un europeismo realista e combattente (come dal discorso di domenica su Simone Veil) e che richiede un intreccio stretto tra rappresentanza e tassazione”.

 

C’è un problema di trovare un candidato adeguato? “Certo – aggiunge Ceccanti – ma questo non è un argomento per differire scadenze che sono oggettivamente insuperabili: non si va a un’elezione nazionale come le europee con un quadro incerto e precario. Prima viene la scelta in grado di rilanciare il partito e poi, dentro di essa, la competizione per assicurare al partito la leadership più innovativa e non tradizionalista-corbyniana su cui dovranno decidere iscritti ed elettori, ma in tempi adeguati, quindi necessariamente corti. Non ci sono esiti certi, esattamente come in tutti i partiti di sinistra e centrosinistra: si può vincere o perdere, ma se si sbagliano i tempi si perde tutti”.

  

Non tutti però sono convinti che il congresso subito possa essere una soluzione. Come il presidente Matteo Orfini. “Con le nostre attuali regole - ha spiegato nei giorni scorsi - il congresso è una conta su dei nomi che serve a ridefinire gli equilibri interni del Pd. Per aprire una fase costituente bisogna invece ripensare il Pd, le sue regole, darsi il tempo che serve per coinvolgere chi non ci ha più votato. Chi ha idee le può far vivere in un congresso o in una discussione più larga. Chi non le ha si affanna sulle procedure”. Come dice Andrea Orlando, al Pd serve un congresso in “due tempi”: “Dobbiamo distinguere la competizione per la leadership e il dibattito sulle idee”. E non è escluso che durante il dibattito “sulle idee” non ci si accorga che l’unica soluzione possibile è superare il Pd, come chiedono in molti, da Sandro Gozi a Carlo Calenda.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.