Raccontare la peste

Maurizio Schoepflin

La recensione del libro a cura di Daria Perocco, Marcianum Press, 186 pp., 21 euro

“A peste, fame et bello libera nos, Domine” (Dalla peste, dalla fame e dalla guerra liberaci, o Signore): per secoli, questa è stata una delle invocazioni più diffuse tra il popolo, che si rivolgeva a Dio affinché lo tenesse al riparo dalle più tremende sciagure, la prima delle quali veniva considerata la peste, la terribile malattia che ha mietuto milioni di vittime ovunque nel mondo. Anche non pochi letterati hanno subìto il “contagio” delle pestilenze, e da Tucidide (V secolo a. C.) ad Albert Camus (1913-1960) vari autori hanno narrato le tragiche vicende della peste e, più in generale, delle epidemie, scrivendo spesso pagine di rara bellezza e drammatica intensità. Ad alcuni di questi racconti, nell’ambito del veneziano Festival di Storia della Salute, è stata dedicata una particolare attenzione da parte di qualificati studiosi, i cui interventi sono stati raccolti in questo volume. Ma perché raccontare la peste? I motivi sono molti e disparati, ma uno, opportunamente segnalato dalla curatrice del libro, si impone per importanza e originalità: “La narrazione letteraria può diventare… consolatoria …Sapere che ad altri e in altri tempi sono avvenute le stesse cose che ora avvengono, e che la peste dopo il tragico infuriare, si allontanerà, è lettura che può portare alla speranza di nuovi elementi positivi”. Aristotele ci ha insegnato che l’arte ha una funzione catartica ed è in grado di sublimare anche le vicende più dolorose e negative. A causa della terribile peste del 1348 Francesco Petrarca perse l’amata Laura, ma con la sua poesia ne trasfigurò la dipartita fino a scrivere: “Morte bella parea nel suo bel viso”. Nei diversi interventi accolti nel volume sono presentate pagine dedicate alla peste nella letteratura italiana rinascimentale e moderna, in quella francese e in quella ispano-americana e portoghese, mentre un ultimo contributo concerne la Milano spagnola al tempo dell’epidemia descritta dal Manzoni. Non v’è dubbio che la peste abbia terrorizzato gli uomini a motivo della sua potenza distruttrice: essa portava morte e disfacimento e ciò non poteva non generare un’ immensa paura. Inoltre recava con sé interrogativi profondi e drammatici, sui quali, in epoca contemporanea, ha scritto pagine di grande pregio Albert Camus. L’immagine camusiana della peste decreta la fine dell’interpretazione religiosa della malattia, mostrando la convinzione dell’assurdità della vita umana e conducendoci assai lontano dalla poetica trasfigurazione petrarchesca.
 

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