Una fogliata di libri

Dove la luce

Giulia Ciarapica

La recensione del libro di Carmen Pellegrino edito da La nave di Teseo (208 pp., 19 euro)

Carmen Pellegrino ci ha abituati a un modo d’espressione che è letteratura senza filtro e ci sembra così d’osservare un lume antico che di decennio in decennio – non fosse per scrittrici di questo calibro – fatichiamo a riconoscere e mantenere. Una perenne epifania è dunque la sua scrittura, i libri un piccolo dono, così come lo è l’ultimo, Dove la luce, probabilmente oggi il suo testo più completo appassionato e sofferto, intimo e inafferrabile. Dico “testo” e non romanzo perché la definizione – qualunque essa sia – appare costrittiva.

C’è il romanzo di Milo Marsico (un uomo che ha perso tutto e vive per strada) e del Professore; di Federico Caffè (economista, realmente esistito, convinto sostenitore della necessità di assicurare protezione sociale ai più deboli; di lui non si saprà più nulla a partire dal 15 aprile 1987) e della Grande Storia (vite, queste, che s’intrecciano fra immaginazione e verità); c’è il romanzo di una donna che narra pezzi di una storia più piccola e non meno importante, ricordando cose che appartengono a tutti, a una generazione perduta fin dalla nascita, e filtrate dallo sguardo di una sé decenne. Una donna che somiglia così tanto alla Carmen Pellegrino in carne e ossa – un padre classe 1948 e un’origine precisa: Postiglione. Ci sono poi i libri degli altri, quelli che l’autrice cita con un senso di devozione assoluta alla causa letteraria (Anne Carson, Walter Benjamin, Witold Gombrowicz, per dirne alcuni).

C’è il passato, c’è il presente e poi c’è quell’intercapedine in cui Pellegrino s’infila per unire i punti e lasciare un sottofondo comune a tutte le narrazioni del testo: l’autrice crea innesti fra il prima e il dopo, fra gli anni Ottanta (il decennio dell’omicidio dell’avvocato Ambrosoli, della P2, dell’areo inabissato di Ustica, della strage di Bologna) e gli anni Venti del Duemila, fra un Novecento che ha offerto il riscatto alla generazione dei padri e un altro Novecento, quello della colpa dei figli, della loro disfatta e – più di tutti – del loro debito, “pubblico e affettivo”.

Il racconto è collettivo e multiplo, ma Pellegrino torna sempre lì (insegnandoci che niente è davvero privato, niente è solo e davvero pubblico): alla terra da cui scappa per salvarsi altrove e ai giardini abbandonati, alle crepe da dove filtra la luce. La sua lotta privata, di figlia e di donna, diventa anche un’appassionata battaglia politica e sociale, e via via si compone un testo che è una presa d’atto, una disperazione tangibile e un respiro di sollievo: “Così di là, nel mondo delle inevidenze, fa sera e fa mattina anche se noi non ci siamo, la luce filtra tra le foglie degli alberi e ogni cosa coincide con qualcos’altro. All’infinito”. 

        

Carmen Pellegrino
Dove la luce
La nave di Teseo, 208 pp., 19 euro

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