Una fogliata di libri

La sindrome di Ræbenson

Matteo Moca

La recensione del libro di Giuseppe Quaranta edito da Blu Atlantide (272 pp., 18 euro)

Uno dei più celebri scrittori-medici, Louis-Férdinand Céline, quando era ancora il dottor Destouches dedicava la sua tesi di laurea al dottor Semmelweis che, come il protagonista de La lettera rubata di Poe, seppe vedere meglio ciò che era evidente a tutti debellando l’infezione puerperale ma pagando tragicamente lo scotto di chi, per primo, profeticamente vede. Céline si concentra proprio su come Semmelweis vedesse più chiaramente rispetto ai suoi contemporanei e Giuseppe Quaranta, anche lui medico, psichiatra, nel suo romanzo d’esordio indaga come un’osservazione diversa delle cose possa mutare il confine tra sanità e malattia, tra realtà e sogno. Quaranta si inserisce nella tradizione gloriosa che mette in relazione letteratura e malattia, ma ne rinnova i termini attraverso una riflessione sulla memoria, sulla sua fragilità e sulla possibilità che questa concede, con il ricordo, di rendere eterni gli esseri umani. La sindrome di Ræbenson si apre con il primo attacco, subìto dal protagonista, lo psichiatra Antonio Deltito, della misteriosa malattia che dà il titolo al romanzo, una malattia che porta pian piano alla cancellazione della memoria e che non è presente nei manuali diagnostici. La sindrome di Ræbenson è quindi una malattia oscura, un marchingegno che Quaranta manipola anche a fini narrativi, perché ciò che scompare dalla mente dei ræbensoniani finisce per abitare la memoria di qualcun altro, con il malato che diventa un altro e, attraverso questo scambio, procede verso un’immortalità tormentata da cui può fuggire solo attraverso il suicidio. La ricerca su questa sindrome diventa la principale ossessione del narratore che, a tanti anni di distanza, racconta la storia e cerca di rimettere insieme i vuoti e i pieni della vita di Deltito e dei ræbensoniani. Tanto sono particolari la malattia e le sue manifestazioni e tanta è la capacità di Quaranta nel manovrare la storia, che anche il lettore finisce in un’impasse e si domanda se tutto il racconto sia figlio di un’allucinazione, se anche il narratore quindi sia affetto dalla stessa sindrome di Deltito, oppure se il racconto sia interamente debitore di un desiderio, impossibile, di non perdere mai l’amico che si è tolto la vita. Se il Semmelweis di Céline vedeva più degli altri, i protagonisti del romanzo di Quaranta fanno il passo successivo, vedono l’invisibile dentro un reale insostenibile, scambiandolo, forse, per la realtà.
    
Giuseppe Quaranta
La sindrome di Ræbenson
Blu Atlantide, 272 pp., 18 euro

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