Illudersi di essere se stessi: ecco un altro brutto virus

Marco Archetti

L’artista odierno, ormai privo di istinto, è sensibile agli “argomenti”. E questo succede perché ha affogato il temperamento nell’intelletto e si è messo ad annusare i fiori con l’anima anziché col naso. Che cosa si può pretendere da ingenui pedanti che “lavorano su se stessi”, si perfezionano, si analizzano, costruiscono la propria moralità, tremano di fronte alle proprie responsabilità e soffrono per l’intera umanità? Da questi ingegneri dello spirito, magari anche santi e martiri, ma mai danzatori o cantanti, mai pagliacci danzanti dell’arte… cosa si può pretendere? Un’arte cucinata in laboratorio. Ma che si può pretendere dalle uova al tegamino? Come fa un’omelette a opporsi a qualcosa? E non mi riferisco alla lotta politica. Bando alla politica, oh Arte! Pensa a essere te stessa. Difendi la tua natura e basta”.

  

Che cosa si può pretendere da Witold Gombrowicz? Cosa si può pretendere da un’intelligenza tanto acuta e abbordante da corteggiare senza paura il proprio contrario, cioè la stupidità, la clownerie, la moschettata di stelle filanti, sicura com’era – quell’intelligenza sopraffina – che il compito dell’artista fosse sbattersene di ogni regola che norma il mondo e normalizza la morale e l’intelligenza, ed essere, semmai, fedele solo a ciò che le permettesse di liberare la propria dorata piroetta?

  

Invece qui tocca assistere, con intimo strazio, all’esatto contrario. Tocca assistere allo scrittore che corre ai ceppi, si consegna alla Zitella Collettiva e si candida a Eterno Sensibile, a Lacrimatore Ufficiale, a Strenuo Qualcosa e Commosso Qualcos’altro. Tocca assistere allo scrittore che si dissolve nella realtà oggettiva, abdica a se stesso e si plasma a seconda dell’umore della folla – intendendo per folla quella striminzita ma decisiva dei Sacerdoti della Cultura Zitellesca. Tocca assistere allo scrittore che obbedisce al piffero altrui e mai al proprio, che coltiva opportune prossimità e alleanze ad alto rendimento, bussando alla porta fino allo stremo e fino allo stremo chiedendo e supplicando di essere invitato a far parte della combriccola dei Giusti, dei Belli e dei Buoni, offrendo il sacrificio di sé e promettendo di occultare le proprie deformità (la propria individualità) e di adeguarsi al clima, dismettendo i propri abiti e indossandone altri: e se anche fossero di taglia sbagliata e lo ingoffissero a morte, che importa? Basta che il Consesso dica che non è goffaggine, e quella sarà addirittura bellezza! Vita nuova! Dal momento dell’arruolamento nell’esercito delle Zitelle il Fabbricatore di Romanzi zitelleschi si infiammerà a comando per ogni Causa Giusta, ululerà a ogni luna che l’Unico Dito da fissare indicherà e loderà i Romanzi delle altre Zitelle – lodando, di fatto, lo stesso Romanzo a più firme.

  

Witold Gombrowicz, invece, non era una zitella e soprattutto non bussava: irrompeva al ballo vestito da pagliaccio, entrando dalla finestra con brache supremamente inadeguate, camicia slacciata e negli occhi il lampo di follia di una domanda impropria nascosta nelle pieghe della realtà che nessuno sapeva vedere. Poi srotolava un tappeto volante e lì faceva saltellare la scimmietta della propria furibonda personalità – una scimmietta in ghingheri, ovviamente, adorna di diamanti, rubini e lapislazzuli. Gombrowicz è stato non solo, e per antonomasia, lo scrittore del Sé a dispetto di sé, ma lo scrittore del Sé a discapito del tutti voi. Ed era convinto che nella ribellione perpetua alla forma altrui che decide della nostra risiedessero la personalità e l’affermazione – non nel senso carrieristico, care Zitelle: nel senso del punto esclamativo. E infatti Gombrowicz è stato anche uno dei più fragorosi punti esclamativi della Letteratura, e sarebbe sufficiente leggerne anche solo i due Diari per capirlo, volumi che promettono (e mantengono) tra i più clamorosi divertimenti con cui sia possibile far ballare la quadriglia al proprio intelletto. Un consiglio? Cercateli, frugate ovunque, pagateli tantissimo se necessario, li pubblicava Feltrinelli nella collana Le Comete. Dopo sole due righe di lettura non smetterete più di vedere il mondo sub specie gombrowicziana, ecco cos’è la personalità artistica – tutto il resto è nulla, anzi, meno di nulla, palle da aperitivino letterario al circoletto indipendente; che poi, indipendente… tutti dipendiamo, il punto è da cosa: io, per esempio, dipendo per sempre dall’intelligenza di Gombrowicz.

   

In tempo di quarantene si celebri dunque la resistenza gombrowicziana, cioè la battaglia a un virus feroce e orrendo più del corona: quello dell’illudersi di essere se stessi.

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