Aldo Manuzio. L'uomo, l'editore, il mito

Claudia Gualdana

Il libro di Martin Davies e Neil Harris, Carocci, 206 pp., 18 euro

I bibliofili lo venerano come se fosse un dio. L’esposizione delle sue opere è ogni volta un evento; nel 2015, cinquecentenario della morte, i convegni si sono moltiplicati. I suoi capolavori di tipografia – i suoi libri tra gli esperti sono chiamati “aldine” – sono uno status symbol per pochi privilegiati. Aldo Manuzio, romano di nascita, veneziano d’adozione, è stato un grande italiano, un protagonista maiuscolo del Rinascimento. Sebbene non fosse artista, ma un solerte imprenditore dell’intelligenza, non sfigura tra gli altri mostri sacri dell’epoca d’oro italiana. E’ quindi opera meritevole dell’editore Carocci l’aver proposto la traduzione della biografia firmata da Martin Davies nel 1995, arricchendola con due saggi di Neil Harris. Al di là del pregio per eccellenza della saggistica anglosassone, ossia la capacità di trasmettere cultura evitando una noiosa e boriosa lingua da iniziati, ciò che piace è la narrazione di Manuzio a tutto tondo. Aldo infatti non fu solo l’editore più importante del suo tempo: fu umanista, grammatico, autore, cultore del latino ma in modo particolare del greco, di cui lamentava la scarsa conoscenza in Europa. Pubblicò anche opere in volgare, di cui le più importanti sono Le terze rime di Dante in un volume in ottavo – una rivoluzione editoriale di cui vanta la paternità – curate nientemeno che da Pietro Bembo, suo consulente, e la Commedia. Si era ai primi del Cinquecento, e Manuzio benediceva definitivamente la lingua italiana pubblicando la prima edizione illustrata del capolavoro di Dante. Ci sono poi alcune “chicche” passate alla storia, per esempio la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, un capolavoro dell’arte tipografica con splendide xilografie, giudicato tuttora il libro più bello del Rinascimento. E Manuzio, in fondo, è un simbolo stesso del Rinascimento: lo dicono il culto per il retaggio greco-romano in generale e per la filosofia in particolare; la cura estrema in una rivoluzione mediatica che in mano ad altri non ebbe risultati tanto eccelsi, proprio per un’inferiore vocazione per il bello e per il genio. Manuzio il genio lo frequentava per indole e per scelta e non a caso ebbe due geni tra i migliori amici: Pico della Mirandola ed Erasmo da Rotterdam. Seguiti da un venerabile gruppo di dotti esuli greci giunti a Venezia dopo la caduta di Costantinopoli, per giunta carichi di tesori che lui non vedeva l’ora di pubblicare. Si deve infatti al dotto veneziano la prima stampa dell’Opera Omnia di Aristotele, un evento determinante per la filosofia dei secoli successivi. Seguirono la pubblicazione di Platone, Aristofane, Tucidide, Erodoto e del sommo tragico Euripide. Manuzio oggetto di un culto laico per la sua carta, si diceva all’inizio. Forse dovrebbe esserlo anche di più per la sua mente: era editore non meno che pensatore, anche se per diffondere le sue idee ha usato le parole di altri. Dei grandi, per l’esattezza.

 


 

Martin Davies e Neil Harris
Aldo Manuzio. L’uomo, l’editore, il mito
Carocci, 206 pp., 18 euro

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