recensioni foglianti

Hamburg

Giorgia Mecca

Marco Lupo
il Saggiatore, 248 pp., 21 euro

Disse che la letteratura non salva nessuno, che la letteratura non sfama e non riscalda, che è un deserto di voci. Disse che la letteratura è un monumento all’idiozia, alla polvere, al sesso osservato da quattro vecchietti in vena di recitare paroloni. Disse che di letteratura si può morire se si è abbastanza stupidi da credere al suo valore salvifico”. La parola scritta non concede nessuna grazia e nessuno sconto al mestiere di vivere; non è dannosa ma nemmeno utile. Forse, in fondo, ne sono convinti anche gli sconosciuti che si incontrano regolarmente in un locale di Parigi e a turno leggono e ascoltano frammenti delle storie degli altri. Non cercano applausi, consigli o congratulazioni, non sanno perché si incontrano, ma continuano a farlo. “Non erano niente. Sapevano di essere provvisori, inconsistenti, deboli. Cuori che sarebbero stati stroncati molto presto, in una notte qualsiasi. Lasciare andare era diventata un’abitudine”. Comincia così Hamburg, La sabbia del tempo scomparso, il romanzo d’esordio di Marco Lupo, uno degli scrittori del collettivo TerraNullius. Tra il gruppo di sconosciuti c’è anche un libraio, che sostiene di avere superato la fase dell’innamoramento con il suo lavoro da molti anni: “Reagisce all’abbondanza delle edizioni stampate per fatturare, e lo fa salvando frammenti di letterature scomparse”. Un giorno gli capitano tra le mani alcuni scritti di un uomo di cui si sono perse le tracce. Tra questi c’è Hamburg; il libraio comincia a leggerlo ad alta voce. Il manoscritto racconta i bombardamenti e l’operazione Gomorrah che ha raso al suolo la città nel 1943, le rovine, i corpi carbonizzati, il futuro sepolto tra le macerie e una madre che partorisce suo figlio “nel Reich che produce e stermina bambini”. Il padre del bambino è stato mandato al fronte per avere gridato “Hitler deve morire”. Marius sopravvive e cresce in un rifugio, cullato da sua mamma che quando la notte riesce a dormire, sogna suo marito e mai suo figlio e si disprezza per questo. “Dovevo essere un’altra, un’altra vita in un un altro inferno”. Invece le è toccata in sorte la guerra, un marito scomparso, il terrore negli occhi di chi ha messo al mondo, l’odio che “cancella i volti e brucia le parole”, sopravvissuti che portano nei sacchi della spesa corpi carbonizzati. Che ne sarà dei vincitori? E dei vinti? Dei loro figli? Alla fine di tutto, la bilancia della guerra riterrà ciascuno di loro ignaro e responsabile. Quando Marius piangerà per la fame, potrà lasciarlo piangere? Dopo i bombardamenti che non lasciano speranze per il presente e radono completamente al suolo il passato, di solito c’è uno strano silenzio. Paul Auster ha scritto: “La vita come la conosciamo è finita, e tuttavia nessuno è in grado di capire da che cosa sia stata rimpiazzata”.
Non è solo un libro sulla guerra, c’è anche la nostalgia, la maternità, vivere nel nome del padre, l’angoscia quotidiana nascosta dalle strette di mano e dai convenevoli. Forse la letteratura non salva nessuno, forse invece sì. Hamburg, un libro che ha preso molto da tanti libri, che ha conosciuto fino in fondo le donne e gli uomini. Per fortuna Marco Lupo ha smesso di leggere e ha cominciato a scrivere.

 

HAMBURG
Marco Lupo
il Saggiatore, 248 pp., 21 euro

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