recensioni foglianti

La provincia è sagra

Simonetta Sciandivasci

Enrico Dal Buono
Historica, 112 pp., 12 euro

Apri questo libriccino snello, con la copertina un po’ seria e un po’ burlona (sopra c’è Superman con un cappelletto al posto della S e una tovaglia da osteria come mantello) e in esergo trovi quella scena di “Amarcord” di Federico Fellini, quando il nonno esce per una passeggiata e si perde, fuori dal cancello di casa, in mezzo alla nebbia. E teme d’esser morto e dice: “Tè cul!”. Nelle pagine successive, Enrico Dal Buono – che viene da Ferrara ma, siccome ha avuto “il prurito d’universo”, è finito a Milano – racconta come lo smarrimento del nonno, quando intorno a lui erano spariti persone, uccellini e vino, siano la condizione stabile del giovane provinciale italiano. Quello che è andato nella metropoli in cerca di gloria, spazio, tipi bizzarri, relazioni pericolose, canoni inversi, ed è diventato “un inquilino puntuale nei pagamenti”. Uno che gioca a tennis con i genitori della fidanzata e perde per educazione, mentre maledice i suoi per non aver investito in un monolocale a Londra, anziché in una villetta al mare, così da risparmiargli tutto il lavoro, molto scialbo e secco, per farsi assorbire dalla grande città senza schifarla.
Il punto della nostalgia che ti viene, a trent’anni passati, quando vivi nella metropoli senza esserci nato, non è la mancanza dei grilli e delle rane: chiarisce Dal Buono che il punto sta nel capire di essere andato via, per stare meglio, dal solo posto dove si sta realmente meglio. Così, vivrai sempre con il capo voltato, senza ammetterlo mai davvero, in attesa di tornare, in vacanza, per andare al bar, dove vieni perdonato per qualunque cosa e sei uguale a tutti gli altri; per salire in macchina, magari con tua madre e tuo padre, e girare per sagre (in questo libro ce ne sono di belle e incredibili), che sono “feste di partito senza partito”, dove l’Italia è viva, fa la fila per mangiare le rane, batte le mani alle coppie di musicisti con “una donna che canta e un uomo che vive”, gli animali sono trofei, i maschi si sfidano a restare in piedi sul Tagadà, si incontrano ventenni che fanno i volontari (e lo smartphone non glielo si vede neppure in tasca) e sindaci che si dispiacciono perché le persone sono sempre di meno (a Stellata, i proventi della sagra andavano alla scuola materna, che però poi ha chiuso per mancanza di bambini: ora quei soldi vanno al restauro degli affreschi emersi dopo il terremoto dell’Emilia) e ottantenni che raccontano di avere fatto, nella vita, solamente due cose: “Ballato con mia moglie e pescato vongole”. Il mondo è in disfatta, certamente, ma fuori da lì. Tu, invece, sei incastrato, nella nebbia e nel suo nulla, che non è il nulla protettivo della nebbia ferrarese, bensì quello della scomparsa irragionevole delle cose ragionevoli e fruttuose. Stai lì e ti dici che proprio non sei un millennial, accidenti: sei soltanto uno che vuole vivere in un posto dove “se ci si guarda, ci si saluta”. 

 

LA PROVINCIA E' SAGRA
Enrico Dal Buono
Historica, 112 pp., 12 euro

Di più su questi argomenti: