L'Illuminismo perduto

Roberto Persico

S. Frederick Starr, Einaudi, 700 pp., 36 euro

Oggi è una terra periferica, sospesa fra arcaismo tribale e modernità tecnologica, contesa tra compagnie petrolifere e bande di guerriglieri. Ma ci fu un’epoca in cui l’Asia centrale era il cuore culturale del mondo. Tra l’VIII e il XIII secolo infatti nell’area che va dall’Iran orientale allo Xinjiang, passando per l’Afghanistan e le regioni dell’attuale Pakistan settentrionale e delle repubbliche ex sovietiche – terra d’incontro fra oriente e occidente, fra sapienza persiana e saggezza cinese, fra un islam non più guerriero e un buddismo aperto al nuovo, fra la matematica indiana e le traduzioni in arabo di Aristotele – si sviluppò una cultura enciclopedica che “costituì un grande ponte temporale e geografico, grande tramite fra l’antichità e il mondo moderno”.
In questa regione, che già Strabone chiamava “terra dalle mille città”, si sviluppò una rigogliosa civiltà urbana basata su sofisticati sistemi di irrigazione, che per secoli riuscirono a far fiorire il deserto. Qui le tecniche di calcolo elaborate dai greci vennero applicate ai problemi legati alla distribuzione delle acque, e così nacque la trigonometria. Qui i medici di città ormai sepolte nella sabbia come Balkh o Paykand traducevano testi greci, indiani e cinesi in persiano e in turco, ma anche in lingue oggi note solo agli specialisti come sogdiano, battriano o coramio.
Qui l’attacco degli arabi fu contrastato più duramente che in ogni altro luogo, i metodi degli invasori furono particolarmente spietati, con la crocifissione di interi eserciti o la costruzione di piramidi di teschi per terrorizzare gli avversari, e la conquista fu accompagnata dal rogo di intere biblioteche. Ma la cultura locale sopravvisse, e anzi l’affermazione dell’arabo come lingua universale ne favorì la diffusione: solo per fare qualche esempio, il cristiano nestoriano al Tabari, attivo a Merv ma di origine siriana, tradusse in greco gli Elementi di Euclide e scrisse la prima enciclopedia medica in arabo, che sarebbe stata la base degli studi di Ibn Sina – il nostro Avicenna, originario di Bukhara – il cui “Canone della medicina” diventerà la Bibbia della scienza medica europea; al Khwaritzmi, uzbeko, sostenne contro Aristotele che i problemi di filosofia naturale andassero risolti con strumenti matematici, e ipotizzò l’ellitticità delle orbite dei pianeti; al Farghani, suo conterraneo e astronomo, calcolò con precisione la misura della circonferenza terrestre; e quando il suo libro arrivò tra le mani di Cristoforo Colombo, questi non pensò che al Farghani aveva usato il miglio arabo, più lungo di quello romano, e vi trovò la conferma della sua tesi della distanza dall’Europa al Cipango.
Così, mentre sulla pagina scorrono nomi magici ed evocativi, dal Khorasan alla Corasmia, dalla città di Kashgar al regno di Lonlan, prende corpo un mondo tanto vivo quanto dimenticato: la cultura che siamo soliti considerare “araba” infatti è in gran parte tale solo di lingua, in realtà originaria di queste regioni a torto neglette. 

 

L'ILLUMINISMO PERDUTO
S. Frederick Starr
Einaudi, 700 pp., 36 euro

Di più su questi argomenti: