Maurizio Landini (Ansa) 

uffa!

Caro Landini, una sola giornata non pagata significa meno ricchezza per tutti

Giampiero Mughini

Nell'Ottocento lo sciopero generale era l'unica forma di lotta per farsi valere. Ma nell’economia del terzo millennio, non poter montare sul treno per andare a lavoro il 16 dicembre va all’opposto della lotta alle "sperequazioni sociali" che è il Vangelo del segretario della Cgil

Data la natura di quello che da cinquant’anni è il mio lavoro – la comunicazione per iscritto e per orale –, e dunque un tempo di lavoro che non può non comprendere pressoché tutti i sabati e tutte le domeniche, confesso che il mio rapporto personale e morale con “lo sciopero generale” di cui stiamo per avere uno specimen il prossimo 16 dicembre è un rapporto piuttosto conflittuale. Il che ovviamente non mi impedisce di comprendere le ragioni di quei lavoratori le cui condizioni professionali rilevano ancora della topografia ottocentesca in cui questa forma di lotta era l’unica per farsi valere. Quando era netta la partizione tra quelli che “avevano” e quelli che “non avevano”. Ma adesso che siamo nel pieno dell’economia del terzo millennio, quando sette italiani su dieci appartengono al “ceto medio”, che senso ha lo sciopero dei bus o dei treni che renderà difficoltoso l’andare al lavoro di tanti italiani?

E tanto per fare un esempio, nei trent’anni in cui ho lavorato a tempo pieno nei giornali trovavo ridicolo che i giornali aderissero allo “sciopero generale” col fatto di non uscire anziché uscire ricchi di dati relativi allo scontro sociale in atto di cui lo sciopero era una metafora. Il caso più ciarlatanesco di tutti lo vissi quando ero all’Europeo diretto da Lamberto Sechi e venne fuori che la nostra casa editrice – la Rizzoli – era stata pesantemente infiltrata dalla loggia massonica detta P2. Quando arrivarono quelle notizie, mancavano due o tre giorni all’uscita del nostro settimanale. Sechi mi incaricò di intervistare un paio di personaggi autorevoli che avrebbero detto peste e corna di quei massoni piuttosto loschi. Mi alzai presto al mattino per avere il tempo di intervistare il professore Federico Mancini, uno dei fondatori del Mulino, membro del comitato centrale del Psi, giurista di grande levatura. Riuscii a consegnare per tempo l’intervista, che sarebbe uscita un paio di giorni dopo. Solo che i comitati di redazione dei giornali Rizzoli decisero di dare uno schiaffo alla P2 col fatto di uscire con un giorno di ritardo. L’Europeo su cui Mancini gliele suonava ben bene ai piduisti sarebbe uscito dunque con un giorno di ritardo perdendo tanto del suo valore. Emerite teste di cazzo. 

Ne potrei raccontare a decine. Tanto che quando i comitati di redazione dell’Europeo e di Panorama (i giornali in cui ho lavorato) optavano per lo sciopero, io al giornale ci andavo lo stesso a fare il mio lavoro: un paio di volte ci andai rinunziando a farmi pagare la giornata (com’era dei giornalisti che avevano scioperato davvero), le volte successive facendomela pagare punto e basta. 

E adesso che il mio lavoro è quello di un professionista indipendente, di una partita Iva, che me ne viene dall’incocciare in uno “sciopero generale”? Semplicemente il non avere a disposizione quel giorno i servizi essenziali al portare a termine il mio lavoro, non so se i taxi, di certo i bus e i treni eccetera. Mi rivolgo in particolare al gran capo della Cgil, Maurizio Landini, e lo dico da appartenente a una generazione di giornalisti che quando andava alla sede romana della Cgil a Corso d’Italia lo faceva per incontrare tipini quali Luciano Lama, Vittorio Foa, Bruno Trentin, Sergio Garavini. Caro Landini, questo stramaledetto 16 dicembre giorno dello sciopero generale io non potrò montare su un eventuale treno per andare a un mio eventuale lavoro. Il che va all’opposto della lotta alle “sperequazioni sociali” che è il tuo Vangelo. Difatti ogni volta che io per motivi di lavoro salgo su un treno, all’Agenzia delle Entrate fanno festa, e questo perché del ricavato di quel lavoro il 50 per cento spetta al fisco. Appartengo difatti a quel 4 per cento di italiani che pagano ben oltre il 30 per cento dell’Irpef totale incassata dallo Stato. Tu ti sei molto risentito, caro Landini, per il fatto che noi che dichiariamo oltre 50 mila euro lordi di reddito annuo avremo dalla recente rimodulazione delle aliquote fiscali un beneficio di 247 euro netti l’anno. Nel caso mio che ho dichiarato un imponibile annuo di circa 180 mila euro, pagherò 247 euro in meno dei circa 70 mila che spettano al fisco. Che ne dici, ti appare davvero una condizione intollerabilmente privilegiata alla quale è sacrosanto dare un calcio negli stinchi? 

Quello che il 16 dicembre vale per me, vale per tutti gli italiani che si asterranno dal lavoro. Una giornata pagata in meno, un tot di Irpef pagata in meno da tanti, un tot in meno di ricchezza prodotta da tutti e per tutti. L’economia reale è l’aria che respiriamo, è l’incenso che sale al cielo (lo scriveva Carlo Dossi), e dunque se un giorno quell’economia viene ferita è come se quell’aria ne venisse inquinata. Non è di comizi che vive una società, non è da parole pronunziate a voce sonante in quei comizi o da cerimoniali sindacali ottocenteschi che viene migliorata la condizione chi sta ai gradini più bassi della scala sociale. Da cittadino della Repubblica (che altro non sono, con i termini di sinistra e destra mi ci pulisco le ciabatte), mi sembrava che l’attuale governo avesse preso in conto le condizioni dei ceti meno felici della nostra società. Pur nelle condizioni difficilissime del nostro debito pubblico, l’alleggerimento del carico fiscale sui redditi medio-bassi era non dico sensibile ma evidente, e fermo restando che non esiste il paese di Bengodi. Durante una trasmissione televisiva mi sono trovato di fronte un senatore cinquestellato il quale raccomandava di “redistribuire” la ricchezza a favore dei ceti meno abbienti. Anziché addormentarmi al suono di un’enunciazione talmente vacua, gli ho chiesto il nome e cognome di almeno una sola opzione che andasse in quella direzione. Alzare le tasse al ceto medio alto? Non ha saputo indicarmela.