(foto Ansa)

I rischi dello sciopero per Landini

Luciano Capone

La scommessa dello sciopero generale pone al sindacato un problema di metodo (può incrinare il dialogo con Draghi) e di merito (finora ha già avuto torto nelle battaglie contro sblocco dei licenziamenti e green pass). Di sicuro Cgil e Uil hanno rotto l'unità sindacale con la Cisl

Lo sciopero generale del 16 dicembre voluto dal segretario della Cgil Maurizio Landini, a cui si è accodata la Uil di Pierpaolo Bombardieri, segna un punto di cesura nel rapporto con il governo Draghi e rappresenta un rischio per il sindacato. Il primo aspetto è di metodo. Sin dalla nascita dell’esecutivo, Landini ha speso parole positive per Draghi, descrivendolo come una persona “autorevole” ed elogiandolo per aver consultato le parti sociali prima di formare il governo. Il dialogo tra governo e sindacato è proseguito e i rapporti personali sono stati cordiali, come ha dimostrato l’abbraccio tra Draghi e Landini in occasione della visita del premier alla sede della Cgil dopo l’assalto squadrista del 9 ottobre. Lo sciopero generale, peraltro affiancato da una manifestazione nazionale a Roma, rischia di incrinare i rapporti con il governo e di interrompere un metodo, fatto di costanti incontri, che ha elevato le parti sociali a interlocutori quasi istituzionali nella definizione delle decisioni di fondo della politica economica. Tanto più che lo sciopero è stato proclamato da Cgil e Uil mentre è in corso un tavolo di confronto sulle pensioni, cosa che rischia di irrigidire ulteriormente le posizioni nella trattativa.

Sciopero generale, perché per Landini è un problema di metodo (e di merito)

Questa tensione fra conflitto sociale con le scelte del governo e preoccupazione che venga meno un metodo di dialogo sociale con l’esecutivo, traspare dal comunicato che ha annunciato lo sciopero. Cgil e Uil affermano che la manovra è “insoddisfacente” praticamente sotto tutti i punti di vista: “Sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza, tanto più alla luce delle risorse, disponibili in questa fase, che avrebbero consentito una più efficace redistribuzione della ricchezza”, ma i sindacati premettono: “Pur apprezzando lo sforzo e l’impegno del premier Draghi e del suo esecutivo...”. Il risultato è una posizione straniante e quasi grottesca: come si fa ad apprezzare lo sforzo del governo se l’esito è una manovra disastrosa, tanto più alla luce delle enormi risorse disponibili? Come si fa ad annunciare uno sciopero elogiando “l’impegno” del presidente del Consiglio, che è colui che “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile”? In teoria, al di fuori del dettato costituzionale, si può anche immaginare la figura di un premier benintenzionato ma ininfluente e incapace di definire l’azione del governo, ne abbiamo avuto qualche esempio in questa legislatura, ma non pare esattamente l’identikit di Draghi. E’ una contraddizione insita in una posizione che vuole salvare un metodo di dialogo con il governo ma rigettandone le decisioni finali.

La frattura tra le sigle sindacali

L’altro rischio che corre il sindacato è di merito. Finora Landini ha già preso posizioni nette contro due scelte politiche importanti del governo Draghi. In primavera si è scagliato contro lo sblocco dei licenziamenti, che secondo il leader della Cgil avrebbe prodotto in autunno una “rottura sociale” e un’impennata della disoccupazione. In estate si è invece schierato contro il green pass sui luoghi di lavoro: inizialmente l’ha definito un “colpo di sole” della Confindustria, una proposta “inaccettabile”, e poi ne ha contestato radicalmente la “logica sanzionatoria e punitiva verso il mondo del lavoro” che “rischia solo di aumentare le divisioni e allontanare l’obiettivo della vaccinazione di massa”. La linea di Landini era quella dei tamponi gratuiti oppure nessuna forma di sanzione per i non vaccinati, cosa che avrebbe trasformato il green pass in un incentivo a non vaccinarsi: a casa con lo stipendio pagato.

 

A pochi mesi di distanza, non solo non c’è stato l’annunciato boom dei licenziamenti, ma secondo i dati della Banca d’Italia e del ministero del Lavoro nel 2021 le assunzioni sono superiori al 2019 (prima del Covid) e i licenziamenti sono rimasti a livelli contenuti a settembre e ottobre, il 37% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Quanto al green pass, non solo si è dimostrato efficace nell’incrementare il tasso di vaccinazione e tutelare la salute sui luoghi di lavoro, ma è diventato un modello a livello europeo.

 

Entrambe le decisioni di Draghi si sono dimostrate azzeccate, tanto è vero che Landini non ne parla più. Il rischio che corre il leader della Cgil è che anche nel caso della manovra, il terzo atto politico più importante del governo, abbia sbagliato giudizio isolando ancora di più il sindacato. Si vedrà cosa otterrà con lo sciopero, ma la prima conseguenza è la rottura dell’unità sindacale con la Cisl che si è fatta da parte. Non un gran risultato, per ora.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali